Appropriazione indebita: di cosa si tratta e come si distingue dal furto?

L’appropriazione indebita è un delitto contro il patrimonio punito dall’art. 646 del Codice penale con la reclusione fino a tre anni e la multa fino a 1.032 euro. In particolare, ai sensi della suddetta disposizione, è punito chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropri del denaro o della cosa mobile altrui, della quale abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.

Se dunque si tratta di una fattispecie che punisce l’appropriazione di denaro o cose altrui, diventa legittimo chiedersi che differenza ci sia tra questo illecito ed il più comune furto. Cerchiamo quindi di fare chiarezza, non prima d’aver analizzato la struttura della fattispecie.

Il bene giuridico tutelato

Il bene giuridico tutelato dal delitto di appropriazione indebita non si esaurisce nella difesa del patrimonio altrui, bensì si pone a tutela dell’interesse di un soggetto, diverso dall’autore del fatto, al rispetto dell’originario vincolo di destinazione della cosa, ovvero “nel rapporto fiduciario la cui violazione perfeziona l’appropriazione indebita” (Cass. n. 26805/2009).

Finalità della previsione sanzionatoria è quella di punire, con lo strumento penale, chiunque si trovi ad avere la disponibilità di un bene e approfittando di tale situazione di “vantaggio” inizia abusivamente a comportarsi come fosse il proprietario della cosa, compiendo atti di destinazione del bene stesso incompatibili sia con il titolo che con le ragioni che ne legittimano il possesso (o la detenzione).

L’autore del reato

Quanto al possibile autore del reato, può essere chiunque abbia il possesso del denaro o della cosa mobile altrui: vi rientrano, pertanto, i comproprietari, i compossessori, i coeredi e i soci, professionisti, ma non il proprietario della cosa stante il requisito dell’altruità (Cass. SS.UU., n. 37954/2011).

Il presupposto del possesso

Presupposto della fattispecie criminosa de qua, che vale a distinguerla da quella del reato di furto, è la situazione di possesso della cosa altrui, preventivamente sorto in base a qualsiasi titolo, purché non idoneo al trasferimento della proprietà.

Al contrario del furto, quindi, nell’appropriazione indebita è il proprietario medesimo della cosa a consegnarla all’autore del reato affinché quest’ultimo ne dia una certa destinazione.

Il presupposto indefettibile per la realizzazione del delitto di appropriazione indebita, che vale a distinguerlo da quello di furto, è dunque quello per cui l’autore del reato deve trovarsi nella situazione giuridica tale da potere di disporre della cosa in modo autonomo al di fuori della sfera di vigilanza del proprietario, abbracciando in tal senso anche la detenzione (cfr. Cass. n. 34851/2008).

Nelle ipotesi di appropriazione di materiali e/o strumenti di lavoro da parte del dipendente, invece, si tende a contestare il delitto di furto, anziché l’appropriazione indebita. Al fine di configurare quest’ultima fattispecie, infatti, non basta la disponibilità materiale del bene, bensì occorre quella “giuridica“: ovverosia la titolarità di una posizione rispetto alla cosa che permetta di disporne, aspetto che generalmente non ricorre nel caso del dipendente che usa materiale ed attrezzi sotto la vigilanza/direzione del datore di lavoro.

Anche il semplice rifiuto di restituire al legittimo proprietario un bene o del danaro detenuto a qualche titolo perfezione il reato in parola.

L’elemento soggettivo del reato

Elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita è il dolo specifico, giacché oltre alla rappresentazione della coscienza e della volontà di appropriarsi della cosa mobile altrui posseduta, occorre lo specifico ed ulteriore scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, senza che sia indispensabile che il profitto ingiusto sia effettivamente conseguito (Cass. n. 32155/2012). 

La procedibilità

Il delitto è normalmente punibile a querela della persona offesa, essendo pertanto necessario chiedere formalmente all’Autorità giudiziaria di perseguire il responsabile nel termine decadenziale di tre mesi dalla scoperta del fatto.

Al contrario, l’appropriazione indebita diviene procedibile d’ufficio nel caso in cui ricorra l’ipotesi descritta nel secondo comma (cosa detenuta a titolo di deposito necessario), nonché quando l’appropriazione indebita è commessa con abuso di autorità o di relazione domestiche, ovvero con abuso di relazione d’ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità.

Per esempio, quindi, sarà sempre procedibile d’ufficio l’appropriazione indebita commessa dal professionista (si pensi all’avvocato, al commercialista, all’amministratore di condominio) che commetta il reato approfittando del rapporto fiduciario che lo lega al cliente.

Un’ultima precisazione deve essere fatta. Così come per tutti i delitti contro il patrimonio commessi senza il ricorso alla violenza, anche per l’appropriazione indebita, ai sensi dell’art. 649 C.p. l’illecito non è punibile se commesso contro: il coniuge non legalmente separato; un ascendente o discendente o di un affine in linea retta ovvero dell’adottante o dell’adottato; di un fratello o di una sorella che con lui convivano.

Avv. Ronny Spagnolo Ph.D.