Infortuni sul lavoro e responsabilità penale.

Gli infortuni sul lavoro rappresentano certamente una delle ipotesi di responsabilità penale colposa più frequenti nel nostro paese. In particolare, secondo un’indagine pubblicata dall’ISTAT nel 2014, erano 714 mila le persone che nei 12 mesi precedenti l’intervista dichiaravano di aver subito almeno un infortunio sul luogo di lavoro. Le persone che dichiaravano malattie o problemi di salute causati o aggravati dall’attività lavorativa negli ultimi 12 mesi erano 2 milioni 282 mila, il 5,4% del totale della popolazione degli occupati. Questi numeri restituiscono appieno le (imponenti) dimensioni del fenomeno.

Nella maggior parte dei casi, al verificarsi di un’infortunio sul lavoro si rende necessaria la celebrazione di un processo volto ad accertare le responsabilità penali che hanno concorso a renderlo possibile. Nell’ambito dell’organizzazione aziendale, infatti, la legge impone ad una serie determinata di soggetti l‘obbligo di prendersi cura della sicurezza delle persone che entrano in contatto col processo produttivo. Allorquando un infortunio si verifica, uno di questi soggetti può essere chiamato a rispondere penalmente per l’infortunio, per non aver adottato tutte le misure necessarie affinché non si verificasse. Si tratta in questi casi di forme di responsabilità colposa ed omissiva, nelle quali il responsabile viene chiamato a rispondere non per quello che ha fatto, ma per quello che non ha fatto, pur avendo un obbligo in tal senso.

Cerchiamo allora di capire chi sono i soggetti chiamati a rispondere della sicurezza dei luoghi di lavoro in ambito aziendale, quali sono i reati che possono venire in rilievo e qual è il ruolo dei lavoratori in questo delicato sistema.

I soggetti garanti

Il sistema volto a garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro è prevalentemente regolato dal D.Lgs. 81/2008, il Testo Unico per la sicurezza sui luoghi di lavoro, il quale definisce quali sono i soggetti responsabili in ambito aziendale e quali obblighi gravano su questi ultimi. Nell’ipotesi in cui non venga osservata la normativa prevenzionistica, saranno perciò questi ad essere chiamati a risponderne anche sul piano penale.

Il principale garante per la sicurezza in ambito aziendale è certamente il «datore di lavoro», definito dal Testo Unico come “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità
produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa“.

La seconda figura chiamata dal Testo Unico a garantire la sicurezza dei lavoratori è il «dirigente», individuato dalla legge nella “persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa“.

Infine, a dover applicare la normativa prevenzionistica, rispondendone altrimenti, è il «preposto», ovverosia “la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa“.

I soggetti garanti, così come fin qui definiti, debbono essere individuati in relazione al concreto organigramma aziendale ed ai poteri effettivamente gestiti. Ciò è reso evidente dal dettato dell’art. 299 del D.Lgs. 81/2008, ai sensi del quale “Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b) [datore di lavoro], d) [dirigente] ed e) [preposto], gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti“. Non è pertanto l’aspetto formale a fare la differenza, ma i poteri concretamente gestiti in ambito aziendale.

Le ipotesi di reato

Per quanto riguarda l’articolato apparato penale posto a presidio della sicurezza sui luoghi di lavoro, può essere immaginato come una struttura piramidale disposta su tre livelli.

A) Alla base della piramide si pone l’articolato apparato penale previsto dal D. Lgs. 81/2008, il quale non soltanto definisce gli obblighi prevenzionistici dei soggetti garanti, ma ne sanziona altresì l’inosservanza con una fitta rete di reati contravvenzionali. Quest’ultimi sono largamente rappresentati da ipotesi di “reato di mera condotta”, che vengono in considerazione non all’avvenimento dell’infortunio, bensì molto prima, per il solo fatto di non aver osservato i vari obblighi previsti dalla legge a tutela della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro.

Rispetto alla maggior parte di queste (numerose) fattispecie di reato, è peraltro previsto un meccanismo estintivo che consente ai responsabili di evitare il processo, pagando una somma di danaro, nei limiti in cui rimettano in pristino le condizioni di sicurezza, adempiendo alle prescrizioni imposte dall’Autorità che ha accertato il reato.

B) Sul secondo gradino della piramide si pongono le fattispecie di pericolo comune – intitolate contro l’incolumità pubblica – previste dal Codice penale. Queste ultime, al contrario degli illeciti contravvenzionali, vengono in considerazione quando l’inosservanza di obblighi prevenzionistici (ed, in particolare, la mancata collocazione dei dispositivi di sicurezza) ha posto in pericolo l’incolumità dei lavoratori, anche qualora da ciò non sia scaturito l’infortunio.

In particolare, ai sensi dell’art. 437 C.p. (Rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro) “Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni

Sul versante colposo, invece, vale la pena di richiamare l’art. 451 C.p. (Omissione colposa di cautele e difese contro disastri o infortuni sul lavoro), ai sensi della quale: “Chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati alla estinzione di un incendio o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotré euro a cinquecentosedici euro.”

C) Da ultimo, al vertice della piramide e limitatamente alle ipotesi in cui dall’inosservanza della disciplina prevenzionistica consegua effettivamente l’accadimento di un infortunio sul lavoro con conseguenze per l’incolumità di un lavoratore, vengono in rilievo le ipotesi di reato contro l’incolumità individuale.

In particolare, qualora dall’infortunio consegua la morte di un lavoratore, sarà applicabile la fattispecie di omicidio colposo punita dall’art. 589 C.p. in virtù della quale “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni”.

Quando invece uno lavoratori rimanga semplicemente ferito si applica la fattispecie di lesioni personali colpose di cui all’art. 590 C.p. , ai sensi del quale: “Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni. (omissis) Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale“.

Da ultimo, merita di ricordare come, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, nelle ipotesi di responsabilità penale da infortunio sul lavoro ad essere chiamati a risponderne non sono soltanto le persone fisiche individuate come colpevoli, bensì anche la stessa entità societaria all’interno della quale è avvenuto il fatto.

Il ruolo del lavoratore

Per concludere, sembra utile svolgere qualche considerazione sulla figura del lavoratore che, ai fini dell’applicazione della normativa di sicurezza, viene individuato nella “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari“.

Secondo la normativa, ed in particolare il Testo unico già citato, il lavoratore non è un mero soggetto passivo debitore di sicurezza, bensì è chiamato a fare attivamente la propria parte per garantire la sicurezza del luogo di lavoro. E’ quindi chiamato a rispettare le direttive del datore, ad accettare la formazione che gli viene impartita, a segnalare ogni ipotesi di rischio.

Nonostante questo, la giurisprudenza consolidata ha del tutto trascurato questo profilo, considerando il lavoratore esclusivamente come un soggetto da proteggere. Proprio in virtù di questo orientamento, la giurisprudenza è incline a considerare sempre i soggetti sovraordinati (ed in particolare il datore di lavoro) come responsabili penalmente degli infortuni occorsi ai lavoratori, del tutto a prescindere dal comportamento tenuto da questi ultimi.

In particolare, in forza di questo orientamento, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente che ha causato l’infortunio suo o di altri lavoratori, sia del tutto abnorme ed imprevedibile. (Cass. pen., n. 10712/2012)

Altrimenti, il datore di lavoro è comunque chiamato a rispondere per non essere tempestivamente intervenuto per correggere il comportamento pericoloso del suo dipendente.

Avv. Ronny Spagnolo