La riabilitazione penale

La riabilitazione penale è quell’istituto che consente alle persone che in passato abbiano conseguito condanne penali e che successivamente abbiano dato segno di ravvedimento di ottenere la cancellazione di queste ultime dal casellario giudiziale.

In particolare, grazie alla riabilitazione, si ottiene l’estinzione delle pene accessorie (per esempio l’interdizione dai pubblici uffici) e di ogni altro effetto penale (per esempio la possibilità di applicare la recidiva).

Grazie alla riabilitazione, quindi, il condannato che abbia cambiato vita ha la possibilità di scrollarsi di dosso il marchio  della condanna (con tutte le sue conseguenze anche sul piano giuridico). Con la riabilitazione il condannato torna ad essere incensurato.

I presupposti

Al fine di ottenere la riabilitazione è indispensabile possedere i seguenti requisiti:

  1. In primo luogo, la pena principale (detentiva e/o pecuniaria) conseguita con la condanna che si intende cancellare deve essere stata interamente eseguita o estinta in altro modo;
  2. In secondo luogo, deve essere intercorso un certo lasso temporale dalla fine della pena principale. Di regola, è necessaria la decorrenza di almeno 3 anni dalla fine dell’esecuzione della pena. Questi termine si innalza ad 8 anni per i recidivi e addirittura a 10 per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Qualora sia stata concessa la sospensione condizionale, il termine comincia a decorrere subito dalla decorrenza del termine di sospensione.
  3. Il condannato non deve essere stato sottoposto a misura di sicurezza, salvo confisca o espulsione dello straniero, almeno che quest’ultima non sia stata revocata;
  4. Il condannato deve aver interamente adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato (risarcimento del danno patito dalle vittime e pagamento delle spese processuali), salvo non dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempiere;
  5. Infine, è necessario dimostrare di essere in possesso del requisito qualificante dell’istituto, ovverosia di aver tenuto una buona condotta in seguito alla condanna. In particolare, non è sufficiente non aver commesso nuovi reati nel frattempo, bensì bisogna dimostrare d’aver cambiato vita e di aver impostato uno stile di vita improntato all’osservanza delle norme di comportamento comunemente accettate.

La revoca

In seguito alla concessione della riabilitazione i suoi effetti rimangono, per così dire, provvisori per un certo periodo nel quale il riabilitato deve continuare a dare prova di buona condotta.

Infatti, la riabilitazione può essere revocata se la persona riabilitata commette, entro sette anni dall’ordinanza  di concessione del beneficio, un nuovo delitto non colposo per il quale sia inflitta una pena alla reclusione non inferiore a due anni. In questo caso vengono ripristinate le pene accessorie e gli effetti penali che la riabilitazione aveva estinto.

La procedura

A concedere la riabilitazione è il Tribunale di Sorveglianza competente per il distretto nel quale il condannato ha la residenza. Per il Veneto il Tribunale di sorveglianza competente è sempre quello di Venezia.

La procedura viene promossa con il deposito di un’istanza scritta con la quale si chiede la riabilitazione e si dimostra il possesso dei requisiti previsti dalla legge.

In seguito, viene fissata un’udienza di trattazione alla presenza del Procuratore generale, del difensore e del richiedente che, se ne fa richiesta, può essere sentito personalmente.

Al termine, sulla base delle conclusioni delle parti e dell’istruttoria documentale svolta d’ufficio, il Tribunale di sorveglianza si esprime con ordinanza: concedendo la riabilitazione o rigettando la domanda.

In caso di rigetto della domanda per mancata integrazione del requisito della buona condotta, la domanda non può più essere riproposta per due anni.

Per la procedura è necessaria l’assistenza di un avvocato. Allorquando ve ne siano i requisiti reddituali, è possibile chiedere il (gratuito) patrocinio a spese dello Stato.

Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.

Il reato di Stalking: di cosa si tratta e quali sono le conseguenze.

Il reato di stalkingrectius “atti persecutori” – è un’ipotesi delittuosa introdotta dal legislatore soltanto nel 2009 al fine reprimere un fenomeno piuttosto diffuso, ma che precedentemente non trovava un’adeguata risposta sanzionatoria.

Il termine “stalking” può essere tradotto in italiano richiamando gli atti del perseguitare, del braccare e del pedinare una vittima; identifica un fenomeno tutt’altro che infrequente, ma che può comportare un grave pregiudizio per la vittima, fino al punto di rendere del tutto impossibile la sua serena esistenza.

Il bene giuridico protetto dalla norma è pertanto quello della libertà morale della persona offesa, intesa quale facoltà dell’individuo di autodeterminarsi liberamente. Inoltre, la fattispecie tutela la tranquillità psichica e la riservatezza della persona oltreché, in prospettiva, la sua stessa incolumità fisica.

Secondo l’art. 612-bis C.p. “è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita“.

In cosa consiste la condotta illecita?

Il delitto di stalking è un reato abituale: si tratta perciò di un illecito che non può mai esaurirsi in un unico atto ma che, ai fini della sua commissione, richiede che l’agente ponga in essere una pluralità di condotte ai danni della vittima.

E’ infatti proprio in questa serialità della condotta che può riconoscersi lo specifico disvalore penale degli atti persecutori rispetto ad altri reati quali quelli di minacce e di molestie.

Quanto alle minacce, il riferimento va chiaramente al delitto di minacce già previsto e punito dall’art. 612 C.p. che punisce chi prospetta ad altri un male ingiusto.

Quanto alle molestie, invece, può senz’altro farsi riferimento alle condotte già altrimenti punite dall’art. 660 C.p. e consistono più genericamente in ogni azione di insistente disturbo alla vittima.

In questi anni la Cassazione ha riconosciuto in termini di molestie utili alla configurabilità del delitto di stalking svariate tipologie comportamentali, talune che non richiedono neppure la compresenza fisica della vittima, quali: l’effettuazione ripetuta di telefonate; l’invio seriale di messaggi sms o via e-mail; la pubblicazione di post molesti/minacciosi sui social network; aggressioni verbali; ripetuti danneggiamenti; reiterati apprezzamenti, baci e atteggiamenti insistenti e minacciosi.

Si tratta pertanto sia di condotte intrinsecamente illecite, che di comportamenti fastidiosi che, una volta reiterati, assumono rilevanza penale nel complesso della fattispecie degli atti persecutori

Quali effetti deve avere sulla vittima?

Ai fini dell’integrazione del delitto di stalking non è tuttavia sufficiente la commissione delle condotte sopra descritte.

E’ infatti indispensabile accertare che la reiterazione delle minacce e molestie ai danni della persona offesa abbiano procurato a quest’ultima uno dei tre effetti alternativi descritti dalla fattispecie:

  1. un perdurante e grave stato di ansia e paura;
  2. un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva;
  3. l’alterazione delle proprie abitudini di vita.

Solo con l’accertamento della sussistenza di un nesso causale riconoscibile tra la reiterazione di molestie e minacce ed almeno uno di questi ultimi eventi, sarà possibile ritenere la consumazione del delitto in questione.

L’elemento soggettivo del reato

Quanto all’elemento psicologico dello stalking, la legge richiede ai fini della sua punibilità l’accertamento del dolo generico.

Con ciò non si vuol dire che il responsabile debba progettare già fin dall’origine la propria condotta seriale e la determinazione nella vittima di uno dei tre stati sopra descritti.

E’ invece sufficiente che l’agente abbia la coscienza e la volontà di commettere ogni singola reiterazione della propria condotta, nella consapevolezza che ognuna di esse andrà ad aggiungersi alle precedenti, formando un complessivo comportamento abituale idoneo a procurare alla vittima almeno uno dei tre eventi descritti dalla norma.

Le aggravanti specifiche

L’art. 612-bis C.p. punisce in maniera più grave due specifiche ipotesi di stalking.

La pena è infatti aumentata fino a un terzo se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.

Inoltre, la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della legge 5/2/1992 n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

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