L’ingiuria, la diffamazione e la calunnia: quali le differenze?

Molto spesso nel linguaggio comune si tendono a confondere l’ingiuria, la diffamazione e la calunnia: ovverosia illeciti tutti accomunati da un’offesa alla reputazione altrui, che però possono avere conseguenze nettamente differenziate. Cerchiamo pertanto di fare chiarezza sul tema, imparando a distinguere tra queste tre diverse fattispecie.

Cominciamo ad analizzare la prima fattispecie, l’INGIURIA.

Ai sensi dell’art. 594 C.p. l’ingiuria è definita come l’offesa all’onore o al decoro di una persona presente. L’ingiuria, oltre che oralmente, può inoltre essere commessa per via telefonica, oppure mediante scritti o disegni diretti alla persona offesa.

L’elemento caratterizzante, che distingue nettamente l’ingiuria dalla diffamazione, è la necessità che l’offesa venga rivolta contro la vittima in sua presenza.

Il bene tutelato è quello dell’onore della persona offesa, che vanta il diritto a non essere aggredita gratuitamente sul piano del proprio amor proprio. Da ciò ne scaturisce l’importante conseguenza per la quale, di regola, non rileva che il fatto offensivo attribuito alla persona offesa sia vero oppure no.

Riconoscere e distinguere l’ingiuria dalla diffamazione e dalla calunnia è diventato oggi ancora più importante che in passato, dato che in forza del Decreto Legislativo n. 7 del 15 gennaio 2016, l’ingiuria è stata depenalizzata. Ad oggi, pertanto, offendere l’onore altrui in presenza della vittima non è più considerato reato dall’ordinamento, lasciando invece intatto un possibile profilo di responsabilità sul piano civile-risarcitorio.

Vediamo ora in che cosa consiste il delitto di DIFFAMAZIONE.

Ai sensi dell’art. 595 C.p.Chiunque, fuori dei casi [di ingiuria], comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità [per esempio tramite internet ed i social network], ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516″.

Con la diffamazione viene protetta la reputazione delle persone, ovverosia l’immagine che queste ultime vantano all’interno della società. Proprio a tal fine, di regola la diffamazione viene punita a prescindere dalla veridicità del fatto negativo attribuito alla persona offesa, almeno che non vi sia un interesse di rilievo pubblico alla diffusione di determinate informazioni (v. diritto di critica politica, diritto di cronaca, diritto di difesa ecc.).

La diffamazione, che rimane tutt’ora un reato punibile, si distingue dall’ingiuria perché in quest’ultima l’offesa viene pronunciata (o manifestata con scritti e disegni) alla presenza della vittima, proprio al fine di fargliela conoscere, mentre nella diffamazione l’attacco alla reputazione altrui deve avvenire in assenza della persona offesa, così da intaccare subdolamente l’immagine vantata da quest’ultima nella società.

Un altra caratteristica essenziale per integrare il delitto di diffamazione è che il fatto negativo per la reputazione altrui deve essere comunicato, eventualmente anche in tempi diversi, ad una pluralità di persone. Da ciò ne consegue che allorquando l’attacco all’altrui reputazione avvenga comunicando con una sola persona, non si configura alcun reato.

Inoltre, ai sensi dell’art. 599 C.p. il delitto di diffamazione non è punito quando il fatto avvenga dopo aver subito una provocazione, ovverosia nell’ipotesi in cui il comportamento venga posto in essere nello stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui.

Da ultimo, va ricordato come la diffamazione sia un reato punibile esclusivamente a querela di parte, ovverosia soltanto nei limiti in cui la persona offesa chieda all’Autorità giudiziaria di perseguire il responsabile del reato nel termine perentorio di tre mesi dal giorno nel quale ha avuto conoscenza del fatto.

Infine, vediamo in che cosa consista il grave delitto di CALUNNIA.

Ai sensi dell’art. 368 C.p.Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo”.

La calunnia rappresenta per certi versi una forma di diffamazione aggravata da due circostanze che la caratterizzano.

In primo luogo, il contenuto della dichiarazione non deve limitarsi a riferire aspetti negativi di una terza persona, bensì deve proprio attribuire a quest’ultima la commissione di un qualche reato, rispetto al quale però l’autore conosca preventivamente l’innocenza della persona offesa.

In secondo luogo, per avere calunnia non è sufficiente che l’attribuzione ad altri – anche contro ignoti, se comunque la persona offesa è identificabile – di un fatto di reato avvenga comunicando con altre persone, essendo invece indispensabile che la circostanza venga comunicata formalmente all’Autorità giudiziaria, per il tramite di denunce o querele rivolte direttamente a quest’ultima oppure per il tramite della polizia giudiziaria.

Con la calunnia, infatti, non si mira solo a tutelare la reputazione – e potenzialmente anche la libertà – della persona offesa bensì anche, e sopratutto, ad evitare che l’Autorità giudiziaria venga vanamente impegnata in indagini inutili. Proprio per questo è sempre necessario  ponderare con cautela ed assieme ad un legale di fiducia l’opportunità di sporgere denunce o querele contro terze persone.

La calunnia è un grave delitto perseguibile d’ufficio, quindi senza neppure la necessità che la vittima del reato chieda all’Autorità giudiziaria di perseguire il fatto.

Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.

 

Furto, scippo e rapina: quali sono le differenze?

Furto, scippo e rapina sono tutti reati contro il patrimonio che condividono un nucleo comune, ovverosia la sottrazione e l’impossessamento di cose altrui, ma si differenziano per le modalità con le quali vengono realizzate. Vediamo allora cosa li differenzia.

Il furto rappresenta il nucleo condiviso da tutte e tre le fattispecie in questione.

Secondo l’art. 624 C.p., “Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 154 euro a 516 euro. La pena per [il furto] è tuttavia della reclusione da uno a sei anni e della multa da 103 euro a 1032 euro quando concorre una delle numerose aggravanti previste dall’art. 625 C.p.
Se invece concorrono due o più delle circostanze prevedute dalla medesima disposizione, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’articolo 61, la pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da duecentosei euro a millecinquecentoquarantanove euro.

Si tratta di un reato contro il patrimonio che, dal punto di vista oggettivo, si articola in due momenti distinti. La “sottrazione“, con la quale il responsabile apprende fisicamente il bene altrui, e l'”impossessamento“, ovverosia il momento successivo nel quale l’agente esclude il legittimo proprietario dall’esercizio del suo dominio sull’oggetto, iniziando a comportarsi lui stesso come fosse il proprietario. E’ proprio per via di questa scansione che, nell’ambito dei furti nei supermercati, il reato si intende solo tentato, ma non perfezionato, finché l’autore dell’illecito non supera la barriera delle casse. Prima di quel momento, infatti, il bene è sottratto, ma non si è ancora realizzato l’impossessamento al di fuori della sfera di controllo del legittimo proprietario.

Ciò che contraddistingue il furto dagli altri due reati in considerazione è l’assenza di qualsiasi profilo di violenza. Nel furto la sottrazione e l’impossessamento del bene altrui avvengono clandestinamente, con l’astuzia, senza bisogno di ricorrere né a forme di violenza fisica, né a minacce.

Diversamente dal furto “semplice”, nello scippo la sottrazione e l’impossessamento del bene altrui avvengono usando violenza. Violenza che non deve però rivolgersi contro la persona offesa, bensì dev’essere strumentale allo strappo dell’oggetto.

L’art. 624-bis C.p. definisce il furto con strappo e stabilisce che “è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 309 euro a 1032 euro chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona.
La pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da 206 euro a 1549 euro se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all’articolo 61“.

Infine, viene in rilievo la fattispecie più grave, quella di rapina, nella quale il furto si realizza minacciando o usando violenza contro la persona.

Ai sensi dell’art. 628 C.p., infatti, “chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da 516 euro a 2065 euro.
Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità.
La pena è della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e della multa da 1032 euro a 3098 euro allorquando concorra una delle numerose circostanza aggravanti previste dalla medesima disposizione, tra cui, una delle più frequenti, quella d’aver commesso il fatto  con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite“.

Nella rapina il furto avviene usando violenza o minaccia contro una persona ma, a alla luce della disposizione che la punisce, vanno distinte due diverse ipotesi.

Si ha “rapina propria” quando la minaccia o la violenza sono strumentali all’impossessamento del bene. Al contrario, si parla di “rapina impropria” quando la violenza o la minaccia sono poste in essere dopo il furto, al fine di garantirsi il possesso del bene o l’impunità. Se pensi ad esempio al ladro in fuga che per scappare spinga il padrone di casa o la polizia che lo insegue.

Concludendo, quindi, furto, scippo e rapina condividono un nucleo comune costituito dalla sottrazione e dall’impossessamento di un bene altrui. Tuttavia, mentre il furto avviene senza alcun ricorso alla violenza, nello “scippo” la violenza è applicata sul bene da apprendere, che viene strappato di dosso dal legittimo proprietario. Diversamente, invece, nella rapina la violenza o la minaccia vengono rivolte contro la persona, al fine di rendere possibile la sottrazione oppure, in seguito, per guadagnarsi la fuga.

Avv. R. Spagnolo