Violenza sulle donne e diritto penale

Negli ultimi anni si è preso pienamente consapevolezza di come, spesso e volentieri, i rapporti affettivi e coniugali si prestino a fungere da teatri di violenza, sopruso e denigrazione che, il più delle volte, vedono la donna quale vittima.

Proprio per far fronte a questa situazione il legislatore è intervenuto negli ultimi anni per garantire una risposta penale adeguata al fenomeno, così da consentire all’Autorità giudiziaria di reprimere questo fenomeno e di intervenire in modo tempestivo.

 

Le fattispecie di reato rilevanti

Quando si parla di violenza sulle donne non si vuol fare esclusivamente riferimento alla sua forma più grave, quella rappresentata dalla violenza fisica, ma altresì ad una serie variegata di comportamenti offensivi che toccano la libertà morale e sessuale della donna, oltreché la sua stessa serenità e dignità personale.
In tali contesti, molte sono le fattispecie di reato che possono ricorrere, tuttavia, due sono i delitti che meglio di altri riescono a fotografare queste situazioni nel loro complesso: il reato di atti persecutori o stalking e il reato di maltrattamenti in famiglia.

Il delitto previsto e punito dall’art.  612 bis c. p. – appunto il reato di atti persecutori – è caratterizzato dalla reiterazione di più condotte minacciose o moleste tali da ingenerare nella vittime uno stato di ansia o di timore per sé o per le persone care. Tali condotte possono essere poste in essere con qualunque mezzo e modalità, purché si presentino idonea a turbare o restringere la libertà del soggetto passivo.
Affinché tali atti assumano rilevanza penale alla luce della fattispecie di stalking, è inoltre necessario che producano una delle tre seguenti conseguenze nella vittima:

  1. un perdurante e grave stato di ansia e paura;
  2. un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva;
  3. l’alterazione delle proprie abitudini di vita.

Il reato di atti persecutori è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni, ma la pena è aumentata se tali fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla vittima.
Infine, merita di precisare come il delitto di stalking sia procedibile soltanto a querela di parte: ciò significa che il responsabile di tali condotte potrà essere perseguito e punito dalla giustizia soltanto allorquando la vittima, entro il termine perentorio di 6 mesi, sporga querela contro l’autore.

 

Diverso è invece il contesto nel quale può venire in considerazione il reato di maltrattamenti in famiglia. Il reato previsto e punito dall’art. 572 c. p. può consistere nella inflizione non solo di sofferenze fisiche, ma anche morali, tali da recare nella vittima umiliazioni, disprezzo o asservimento.  Si tratta di un illecito che, al contrario degli atti persecutori, può essere commesso soltanto da chi ricopra un “ruolo” nel contesto della famiglia (genitore – coniuge – figlio).
Tuttavia, per famiglia deve qui intendersi non soltanto quella tradizionale, ma ma più in generale ogni unione di persone, tra le quali, per intime relazioni e consuetudine di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza, protezione e solidarietà.
I maltrattamenti ex art. 572 c. p. sono annoverabili anche quando la convivenza sia cessata e quindi anche dopo la separazione dei coniugi il cui regime giuridico lascia integro il dovere di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale, di solidarietà, nascenti dal rapporto coniugale.

Il reato di maltrattamenti è punito con la reclusione da 2 a 6 anni e, al contrario degli atti persecutori, è perseguibile d’ufficio. Basta pertanto che l’Autorità giudiziaria venga a conoscenza di tali fatti perché possa intervenire, perseguendone il responsabile.
Nonostante alcune differenze, la linea di demarcazione tra i due illeciti sopra descritti, qualora tali comportamenti avvengano in ambiente familiare, non è facilmente definibile ed è tutt’ora oggetto di discussione.

 

I rimedi cautelari

Molto rapidamente, meritano di essere illustrati tutti quegli istituti che consentono alla giustizia di intervenire tempestivamente in queste ipotesi e di mettere al sicuro la vittima dei maltrattamenti o degli atti persecutori durante la celebrazione del processo.

Innanzitutto, sia per i maltrattamenti in famiglia che per gli atti persecutori è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza di reato. La polizia giudiziaria che colga il responsabile di tali comportamenti nell’atto di commetterli non ha altra scelta che arrestare immediatamente quest’ultimo.
Anche a prescindere dalla flagranza di reato, una volta che tali fatti siano stati denunciati e durante le more del processo, la vittima di tali reati potrà contare su tutta una serie di misure cautelari volte a proteggerla durante il processo.
Nelle ipotesi più gravi, infatti, l’autore di tali reati potrà subire la custodia cautelare carceraria oppure gli arresti domiciliari, eventualmente con l’ulteriore sicurezza rappresentata dall’apposizione del c.d. braccialetto elettronico.
Anche per i casi meno gravi, tuttavia, il legislatore ha previsto delle misure cautelari ad hoc per questa tipologia di illeciti, meno invasive della libertà personale, ma comunque idonee a rassicurare la vittima.
L’Autorità giudiziaria può infatti ordinare al sospettato d’aver compiuto tali reati l’abbandono della casa familiare, senza possibilità di farvi rientro. Qualora il nucleo familiare dipenda dal reddito della persona allontanata, a quest’ultima può essere ingiunto il pagamento di un assegno mensile, così da consentire il sostentamento dei familiari e da spezzare quel legame di dipendenza economica che rende talvolta difficile per la vittima denunciare il familiare che la maltratta.
Inoltre, al responsabile può essere vietato l’avvicinamento alla vittima, al suo luogo di residenza, a quello di lavoro e, più in generale, ai luoghi solitamente frequentati da quest’ultima.
Infine, al responsabile di tali fatti può essere imposto di rimanere all’interno di in certo territorio comunale o provinciale oppure può essergli vietato di farvi ingresso.
In tutti questi casi, la violazione delle prescrizioni imposte dall’Autorità giudiziaria da parte del responsabile diventa il presupposto per l’aggravamento della misura cautelare che, come ultima ratio, può spingersi appunto fino alla custodia carceraria o domiciliare.
Infine il legislatore ha previsto in questi casi dei precisi obblighi informativi. La persona offesa deve essere informata qualora lo stato cautelare del responsabile muti e va interpellata quando la sua difesa chieda la revoca o la sostituzione della misura cautelare applicata.

Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.