Esercizio arbitrario delle proprie ragioni o estorsione? Quali sono le differenze?

Capita talvolta che il cittadino, frustrato per le difficoltà e le lungaggini incontrate nel tentativo di ottenere quanto gli spetta, cerchi di farsi giustizia da solo passando alle vie di fatto: minacciando il proprio debitore al fine di ottenere quanto gli è dovuto. In queste circostanze si rischia tuttavia di passare dalla parte del torto, commettendo il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni o, peggio ancora, quello di estorsione.

I due predetti reati puniscono infatti comportamenti piuttosto simili e spesso la giurisprudenza ha incontrato difficoltà nel distinguere quale dei due reati dovesse essere contestato.

La differenza non è peraltro soltanto teorica, ma comporta delle conseguenze sensibilmente diverse, dato che dal punto di vista sanzionatorio l’estorsione è un reato decisamente più grave rispetto al più blando esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Cerchiamo allora di coglierne le differenze.

Ai sensi dell’art. 393 C.p. commette il delitto di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone“:

“Chiunque, al fine indicato nell’articolo precedente [di esercitare un preteso diritto], e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito, a querela dell’offeso, con la reclusione fino a un anno.”

Il reato in questione è un delitto punito in maniera piuttosto mite ed è volto a tutelare l’interesse statuale al ricorso obbligatorio alla giurisdizione, scoraggiando i cittadini dalla tentazione di farsi giustizia da loro.

Di tutt’altra specie è il grave delitto di “estorsione“, previsto e punito dall’art. 628 C.p., ai sensi del quale:

“Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000.”

Rispetto al primo, il delitto di estorsione è un reato estremamente più grave ed è volto a tutelare sia il patrimonio che la libertà morale della persona offesa.

Nonostante la sensibile differenza sul piano sanzionatorio, le condotte punite dalle due norme sono piuttosto simili: in entrambi i casi si tratta di comportamenti violenti o minacciosi rivolti contro una persona e volti ad ottenere da questa una qualche concessione. Diventa perciò essenziale distinguere in quali casi ricorra uno ed in quali l’altro.

I principi di diritto recentemente enunciati dalla Cassazione

A tal fine si è recentemente espressa la Corte di Cassazione la cui II° Sezione penale in data 3 novembre 2016 ha pronunciato la sentenza n. 462888, con la quale ha enunciando i seguenti principi di diritto:

  • diversamente dal reato di estorsione, il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni rientra nella categoria dei cc.d. “reati propri esclusivi” o “di mano propria“. Ciò significa che può essere chiamato a risponderne esclusivamente il titolare del diritto vantato. Allorquando  la medesima condotta violenta o minacciosa sia posta in essere da un terzo – eventualmente anche se su mandato del titolare del diritto – il responsabile non potrà mai rispondere di tale reato, ma eventualmente soltanto della più grave fattispecie di estorsione;
  • I due delitti in questione si distinguono sul piano dell’elemento soggettivo del reato. Nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni l’agente persegue il conseguimento di un suo diritto nella convinzione non arbitraria, ma ragionevole, anche se infondata, di esercitare un suo diritto. Nell’estorsione, invece, l’agente persegue il conseguimento di un profitto ingiusto, nella consapevolezza della sua ingiustizia;
  • Per rispondere di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ed escludere così l’imputazione più grave di estorsione, la pretese arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico e non mirare ad ottenere un qualsiasi quid pluris non dovuto;
  • L’elevata intensità della violenza o della minaccia non è di per sé dirimente nel distinguere le due fattispecie di reato, ma può comunque rappresentare un indice sintomatico del dolo di estorsione.

Da ultimo, sembra utile rammentare come le due ipotesi di reato si distinguano nettamente anche sul piano della procedibilità. Il responsabile del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere chiamato a risponderne soltanto se la vittima del reato propone querela nei confronti del responsabile nel termine perentorio di tre mesi. L’estorsione è invece un delitto procedibile d’ufficio, nel quale il responsabile viene processato e condannato del tutto a prescindere dalla volontà della vittima.

Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.

La prescrizione del reato: cos’è e come funziona.

La prescrizione del reato è una causa estintiva della potestà punitiva statale determinata dal trascorrere del tempo senza che sia nel frattempo intervenuto l’accertamento definitivo dell’illecito contestato.

L’istituto trova giustificazione nella riconosciuta inutilità del perseguimento di reati commessi troppo tempo addietro, quando l’allarme sociale scaturito dalla loro commissione si è ormai esaurito.

In virtù dell’istituto, il cittadino può così far valere il proprio diritto ad essere giudicato in tempi certi (v. art. 111 Cost.), potendo altrimenti contare sull’estinzione del reato.

La prescrizione non vale però per tutti i reati. Sono infatti imprescrittibili tutti quei reati per i quali la legge commina la pena dell’ergastolo, anche per l’effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti.

Per tutti gli altri, invece, si ha l’estinzione del reato col trascorrere di un periodo pari alla pena massima comminata dalla legge per ogni singolo illecito. In ogni caso il termine di prescrizione non può mai essere inferiore a 6 anni per i delitti (la maggior parte dei reati) e a 4 anni per le contravvenzioni (reati meno gravi).

Per tutta una serie tassativa di reati di particolare gravità è inoltre previsto il raddoppio del termine prescrizionale.

Allo scadere del termine prescrittivo il reato si estingue del tutto a prescindere dallo stato in cui si trova il procedimento penale pendente a carico dell’imputato, determinandone immediatamente l’improcedibilità.

La prescrizione è interrompibile.

Al fine di scongiurare la prescrizione del reato, è necessario che prima dello scadere del termine prescrittivo lo Stato dia dimostrazione d’avere ancora interesse a perseguire il reato. Più nello specifico, è necessario che l’Autorità giudiziaria procedente emetta uno dei provvedimenti tassativamente elencati dall’art. 160 C.p., come il compimento di particolari atti d’indagine, il rinvio a giudizio o la pronuncia di sentenze, ancorché non definitive.

Ogni volta che si realizza una delle predette condizioni il decorso del termine prescrittivo viene interrotto e riprendere a decorrere nuovamente fin dall’inizio.

L’interruzione non è però in grado di procrastinare indefinitamente il termine prescrittivo. Ai sensi dell’art. 161 C.p., invero, gli eventi interruttivi non possono mai comportare l’aumento del tempo necessario a prescrivere il reato per più di un quarto del termine originario. Solo per i recidivi, a seconda del tipo di recidiva contestata, il termine prescrittivo può prolungarsi, nel caso in cui si realizzino eventi interruttivi, fino ad un mezzo, a due terzi oppure fino al doppio del termine prescrittivo previsto per il reato contestato.

Di regola, pertanto, se per un reato è previsto il termine prescrittivo di 6 anni, anche qualora intervengano eventi interruttivi quest’ultimo giungerà comunque alla prescrizione allo scadere del termine di 8 anni (6 anni + 1/4) dalla commissione del fatto.

La prescrizione è sia sospendibile che rinunciabile.

In alcune circostanze previste dalla legge il decorso del termine prescrittivo è sospeso, riprendendo a decorrere al termine dell’evento che ha giustificato la sospensione.

La prescrizione è sempre rinunciabile da parte dell’imputato, che può sempre chiedere di celebrare comunque il processo a suo carico nonostante la decorrenza della prescrizione.

Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.