In quali casi si può essere arrestati e come ci si può difendere?

In quali casi si può essere arrestati?

In quali casi si può essere arrestati? L’arresto consiste nella privazione della libertà di una persona posto in essere dalla pubblica autorità nei casi previsti dalla legge. Concretamente, la privazione della libertà viene eseguita presso una Casa circondariale o di detenzione.

Ai sensi dell’art. 13 della Costituzione, “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, …, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.

Volendo approfondire la questione – anche nella prospettiva di individuare le forme nelle quali la persona arrestata può esporre le proprie difese nel tentativo di riguadagnare al più presto la libertà perduta – occorre tuttavia distinguere tre diverse ipotesi di privazione della libertà: 1) le misure precautelari; 2) le misure cautelari; 3) l’esecuzione di una sentenza di condanna definitiva.

Cerchiamo allora di comprendere in quali casi ricorrano queste ipotesi di privazione della libertà e quali siano gli strumenti difensivi.

In quali casi si può essere arrestati?

Le misure precautelari

Le misure precautelari previste dall’ordinamento sono sostanzialmente due: il fermo di indiziato di delitto e l’arresto in flagranza di reato. Si tratta di misure provvisorie di privazione della libertà caratterizzate dal fatto di poter essere applicate direttamente dal Pubblico ministero, o addirittura d’iniziativa dalla polizia giudiziaria, senza la necessità di attendere un provvedimento cautelare da parte di un Giudice. In queste ipotesi il controllo giurisdizionale viene quindi posticipato ad una fase successiva all’arresto.

Ai sensi dell’art. 380 c.p. la polizia giudiziaria procede all’arresto di chiunque è colto in flagranza di un grave delitto. È in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima

Ai sensi dell’art. 384 c.p.p., invece, il pubblico ministero – o, nei casi di urgenza, direttamente la polizia giudiziaria – dispone il fermo di persona gravemente indiziata di gravi reati quando sussistono specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga.

Le misure precautelari possono protrarsi per un massimo di 96 ore: posto che una volta applicate il pubblico ministero deve chiederne la convalida al giudice entro 48 ore mentre, entro le 48 successive, il giudice deve fissare l’udienza di convalida. Se questi termini non vengono rispettati la persona privata della libertà va immediatamente rilasciata.

In sede di udienza di convalida il Giudice dovrà verificare se l’arresto o il fermo sia avvenuto nei casi previsti dalla legge, convalidandoli oppure no, e quindi provvedere sulle eventuali richieste di misure cautelari – in grado di protrarre oltre lo stato di arresto – avanzate dal pubblico ministero.

In questi casi è quindi l’udienza di convalida la prima occasione nella quale l’indagato, assistito dal proprio difensore, potrà difendersi esponendo le proprie ragioni, sia nella prospettiva di mettere in discussione della convalida della misura precautelare, sia in quella di contrastare eventuali richieste di misura cautelare.

Le misure cautelari

Le misure cautelari sono provvedimenti provvisori e immediatamente esecutivi, disposti dall’autorità giudiziaria, di solito “a sorpresa”, ogniqualvolta ravvisi il pericolo, che durante le indagini preliminari o nel corso del processo, possano verificarsi eventi capaci di compromettere la funzione giurisdizionale.

Le misure cautelari più gravi, quelle che privano interamente la persona della sua libertà personale, sono sostanzialmente due: gli arresti domiciliari e la custodia in carcere.

Le misure cautelari sono disposte dal Giudice su richiesta del pubblico ministero qualora ricorra almeno una delle seguenti esigenze cautelari: 1) pericolo di inquinamento delle prove; 2) pericolo di fuga dell’indagato; 3) pericolo di reiterazione del reato.

La durata massima delle misure cautelari è definita dalla legge.

Come già detto, le misure cautelari vengono generalmente applicate “a sorpresa”, senza quindi sentire preventivamente il destinatario della misura. Tuttavia l’integrazione del contraddittorio con quest’ultimo è soltanto posticipata.

Entro 5 giorni dall’applicazione della misura, infatti, il Giudice che l’ha applicata ha l’obbligo di fissare l’interrogatorio di garanzia.

In questa sede l’indagato, assistito dal proprio difensore, potrà finalmente esporre le proprie difese mettendo in discussione la sussistenza dei presupposti applicativi della misura, chiedendone la revoca. Il giudice, una volta sentito l’interessato, potrà quindi confermare la misura, modificarla con una meno gravosa oppure revocarla.

L’esecuzione di una sentenza definitiva

L’esecuzione di una pena detentiva in forza di una sentenza divenuta irrevocabile, consegue alla celebrazione di un intero processo, eventualmente sviluppatosi nei tre gradi di giudizio, e presuppone pertanto che il condannato abbia già avuto ampiamente modo di difendersi ed esporre le proprie difese.

Ciò tuttavia non significa che non residuino margini di difesa.

Innanzitutto, per mezzo del proprio difensore si potrà ricorrere al Giudice dell’esecuzione per far valere eventuali difetti del titolo esecutivo e/o vicende sopravvenute che potrebbero metterne in discussione la validità. In particolare, il Giudice dell’esecuzione può dichiarare la prescrizione della pena, applicare amnistie/indulti, verificare eventuali errori di persona, applicare la disciplina della continuazione, accertare eventuali duplicazioni di condanne, revocare la sentenza in caso di sopravvenuta abolizione del reato ecc.

In secondo luogo, si potrà adire la competente magistratura di sorveglianza al fine di chiedere, qualora ne ricorrano i presupposti, di scontare la pena con misure alternative al carcere, quali: l’affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare e la semilibertà.

Infine, qualora emergano nuovi elementi tali da mettere in discussione la sentenza di condanna, si potrà ricorrere alla Corte d’appello competente per chiedere la revisione processuale.

Da ultimo, chiunque abbia sofferto un’ingiusta privazione della propria libertà personale potrà chiedere un indennizzo dallo Stato: la riparazione per ingiusta detenzione.

Coronavirus: quali le conseguenze per l’inosservanza delle misure preventive?

Coronavirus: quali le conseguenze per l’inosservanza delle misure preventive?

Com’è ormai a tutti noto, lo scorso 8 marzo il Presidente del Consiglio dei Ministri ha adottato un decreto col quale ha introdotto misure piuttosto severe nel tentativo di contrastare l’epidemia virale che sta affliggendo l’intero paese e non solo. Inizialmente le misure erano previste soltanto per alcune cc.dd. “zone rosse”, mentre col D.P.C.M. 9 marzo 2020 le predette misure sono state estese all’intero territorio nazionale. Da ultimo, col D.P.C.M. 11 marzo 2020 le misure sono state ulteriormente inasprite, fino a stabilire la chiusura di tutte le attività commerciali non essenziali.

Alcune di queste misure si rivelano fortemente incisive della libertà personale di tutti i cittadini, tanto da prescrivere una nutrita serie si limitazioni della loro libertà di movimento.

Tra le tante limitazioni previste, l’art. 1 del D.P.C.M. 8 marzo 2020 prescrive in particolare di:

a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. E’ consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza; b) ai soggetti con sintomatologia da infezione respiratoria e febbre (maggiore di 37,5° C) è fortemente raccomandato di rimanere presso il proprio domicilio e limitare al massimo i contatti sociali, contattando il proprio medico curante; c) divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena ovvero risultati positivi al virus;

Per quanto riguarda l’interpretazione dei reali limiti imposti allo spostamento delle persone, si rinvia ai successivi chiarimenti pubblicati sul sito del ministero degli interni; almeno ad oggi (19/03/2020), peraltro, rimane espressamente consentito praticare attività motoria all’aperto, almeno nei limiti in cui sia possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro ed alla luce del divieto di ogni assembramento [v. lett. g), co. 1, art. 2 del D.P.C.M. 8 marzo 2020].

Si invitano tuttavia i lettori a prendere in considerazione quanto stabilito con ordinanza 20/03/2020 dal Presidente della Regione Veneto, che ha introdotto ulteriori limitazioni – limitatamente al territorio regionale – rispetto a quanto già previsto a livello nazionale dai vari D.P.C.M. che si sono succeduti negli scorsi giorni; tra le altre disposizioni, quest’ultimo provvedimento ha limitato la possibilità di svolgere attività fisica all’aperto nel raggio di 200 mt da casa. Limitazione peraltro sostanzialmente confermata a livello nazionale dall’ordinanza 20/03/2020 del Ministro della salute.

Da ultimo, ulteriori limitazioni alla libertà di spostamento dei cittadini sono state dapprima anticipate con ordinanza 22/03/2020 dei ministri della salute e degli interni e poi confermate con D.P.C.M. 22/03/2020, che ha sospeso ogni attività commerciale e industriale non essenziale ed imposto nuovi limiti alla libertà di spostamento dei cittadini.

Premesso che l’osservanza di queste misure è assolutamente necessaria per preservare la salute di tutti, cerchiamo di comprendere quali possono essere le conseguenze, sul piano sanzionatorio, per coloro che decidessero di trasgredirle.

Da questo punto di vista, va innanzitutto chiarito come le conseguenze dell’inosservanza di tali disposizioni siano di natura penale e non meramente amministrativa. Il D.P.C.M. 8 marzo 2020, infatti, non prevede sanzioni amministrative nelle ipotesi di trasgressione delle varie prescrizioni ivi previste bensì, sul piano sanzionatorio, richiama l’applicazione di una precisa disposizione del Codice penale.

L’inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità

Coronavirus: quali le conseguenze per l’inosservanza delle misure preventive?

Ai sensi dell’art. 3, co. IV, del D.L. 6/2020, “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale“. D’altronde il riferimento all’art. 650 C.P. viene espressamente indicato anche sui moduli autodichiarativi messi a disposizione dal ministero degli interni ed in forza dei quali i cittadini vengono chiamati a giustificare i proprio spostamenti.

Vediamo quindi cosa prevede quest’ultima disposizione normativa: ai sensi dell’art. 650 C.P.:

Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro .

Chi pertanto verrà sorpreso dalle forze dell’ordine a trasgredire le prescrizioni adottate dal governo per prevenire la diffusione di covid-19, non verrà semplicemente “multato” bensì, avendo commesso a tutti gli effetti un reato, verrà generalizzato, invitato a dichiarare il proprio domicilio e quindi a nominare un difensore in vista della pendenza di un vero e proprio procedimento penale a suo carico.

Data la modesta entità del trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 650 C.P., peraltro, è plausibile che in seguito il predetto procedimento venga definito con l’emissione di un decreto penale di condanna: ovverosia con la notifica al trasgressore di una vera e propria sentenza di condanna emessa senza previa celebrazione di un processo; a quel punto starà poi all’imputato la scelta se accettare la condanna ivi irrogata oppure se opporsi al decreto penale – nel termine perentorio di quindici giorni – chiedendo la celebrazione del processo oppure la definizione del procedimento con un diverso rito alternativo.

Va comunque ribadito come la pena eventualmente irrogata in sede di decreto penale di condanna, benché di natura pecuniaria e non detentiva, sia a tutti gli effetti una condanna penale che inciderà sul casellario giudiziale del cittadino, con tutte le conseguenze del caso.

Ciò nonostante, la contravvenzione prevista e punita dall’art. 650 c.p. offre una soluzione alternativa e più indolore.

Ai sensi dell’art. 162-bis C.P., che regola l’istituto dell’oblazione c.d. “facoltativa” delle contravvenzioni, infatti,

Nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda, il contravventore può essere ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla metà del massimo della ammenda stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento.

Il pagamento delle somme indicate nella prima parte del presente articolo estingue il reato.

Ciò significa che sarà possibile chiedere l’oblazione della contravvenzione, ovverosia la conversione dell’illecito penale in una forma di illecito amministrativo pagando una modesta somma; il vantaggio di tale soluzione è sostanzialmente quello di evitare ripercussioni sul propria casellario giudiziale, che rimarrà così impregiudicato.

Coronavirus: quali le conseguenze per l’inosservanza delle misure preventive?

Va tuttavia segnalato come la fattispecie penale ricorrente nelle ipotesi di inosservanza delle disposizioni preventive potrebbe essere diversa da quella ipotizzata dal governo e indicata sui moduli autodichiarativi.

Come già visto in precedenza, infatti, l’art. 3, co. IV, del D.L. 6/2020 sancisce che il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al medesimo decreto sia punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale, salvo che il fatto non costituisca più grave reato.

Ebbene nei casi in esame sembrerebbe ricorrere l’applicazione di una diversa fattispecie penale più grave, potenzialmente in grado di applicarsi a discapito del richiamato art. 650 C.P.

Ai sensi dell’art. 260 del Regio decreto 27/07/1934, n. 1265 (testo unico delle leggi sanitarie)

Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire 40.000 a 800.000. Se il fatto è commesso da persona che esercita una professione o un’arte sanitaria la pena è aumentata.

Quest’ultimo è un illecito penale speciale e che prevede un trattamento sanzionatorio più grave di quello comminato dall’art. 650 C.P.; sembrerebbe perciò trattarsi di una norma incriminatoria destinata a prevalere su quest’ultima ipotesi contravvenzionale.

Ciò avrebbe peraltro una conseguenza piuttosto importante, visto che il reato punito dall’art. 260 R.D. 1265/1934, al contrario di quello previsto dall’art. 650 C.P., non ammette oblazione.

In attesa di un futuro chiarimento giurisprudenziale sul punto, pertanto, si invita a fare attenzione, posto che la trasgressione delle norme di contenimento imposte dal governo, se dovesse effettivamente prevalere quest’ultima fattispecie penale, potrebbe avere inevitabilmente ripercussioni sul casellario giudiziale del cittadino trasgressore.

Le predette fattispecie sanzionatorie, tuttavia, non esauriscono il novero degli illeciti penali che potrebbero venire in rilievo.

Le falsità nelle autodichiarazioni

Coronavirus: quali le conseguenze per l’inosservanza delle misure preventive?

Come molti avranno notato, il modulo autodichiarativo giustificativo degli spostamenti, oltre a menzionare l’art. 650 C.P., richiama altresì un’altro reato, quello punito dall’art. 495 C.P. di “falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri“, per le ipotesi nelle quali fossero fatte dichiarazioni non veritiere.

Orbene, ai sensi dell’art. 495 C.P.

Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.

In realtà, com’è agevole evincere dal testo della norma, l’art. 495 C.P. potrà certamente trovare applicazione qualora il cittadino faccia dichiarazioni false circa la sua identità; molto più difficile è immaginare che il delitto in questione possa essere contestato a chi, pur avendo correttamente declinato le proprie generalità, faccia dichiarazioni mendaci circa le ragioni del suo spostamento.

Si è pertanto ipotizzata l’applicabilità in alternativa del delitto di “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico“, punito dall’art. 483 C.P., ai sensi del quale:

Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni.

Tuttavia anche rispetto a quest’ultima previsione normativa non mancano ragionevoli perplessità circa la possibilità di contestare la predetta fattispecie a chi dichiari falsamente le ragioni del suo spostamento. Secondo giurisprudenza costante, infatti, il delitto p. e p. dall’art. 483 C.P. ricorre soltanto con riferimento agli atti pubblici destinati a provare la verità dei fatti attestati, ovverosia quando vi sia una specifica norma giuridica volta ad obbligare il privato a dichiarare il vero, ricollegando all’atto specifici effetti certificativi.

Orbene, gli ormai noti moduli autodichiarativi non sono previsti da alcuna norma; così come non sembra essere ad oggi prevista alcuna previsione normativa che obblighi il cittadino a rendere le autodichiarazioni, né a farlo in modo veritiero; infine, neppure esiste una norma che attribuisca una qualche efficacia certificativa a queste autodichiarazioni.

Allo stato della normativa, pertanto, non è ben chiaro come – al netto dell’illecito previsto per l’inosservanza delle disposizioni di contenimento – potrà essere punita la condotta del cittadino che faccia dichiarazioni non veritiere sulle ragioni del suo spostamento.

Le persone in regime di quarantena

Coronavirus: quali le conseguenze per l’inosservanza delle misure preventive?

Da ultimo, merita un accenno al gravissimo comportamento di chi, essendo risultato positivo al test covid-19 ed essendo conseguentemente stato posto in quarantena, la trasgredisca spostandosi in luoghi pubblici. Orbene in questi casi le conseguenze sanzionatorie rischiano di essere estremamente severe, sopratutto se da ciò dovesse derivare l’ulteriore diffusione del virus.

L’art. 452 C.P. punisce infatti fino a dodici anni di reclusione la provocata epidemia colposa.

Non va inoltre trascurata l’ormai consolidata giurisprudenza in tema di HIV, alla luce della quale non si esclude addirittura l’applicazione delle fattispecie di omicidio e lesioni personali – che, a seconda dei livelli di consapevolezza dell’autore del fatto, potranno risultare colposi o addirittura dolosi – quando il soggetto contagiato, nella consapevolezza della propria condizione, non adotti le necessari precauzioni contagiando così terze persone.

Concludendo, nonostante la caoticità dell’assetto sanzionatorio della normativa in questione, non si possono che invitare i lettori ad assicurare la più stretta osservanza alle disposizioni previste dal Governo per prevenire la diffusione del Coronavirus – anche a prescindere dalle possibili conseguenza sanzionatorie nel caso di loro inosservanza – trattandosi di misure temporanee e necessarie per preservare la salute propria e degli altri.

Aggiornato al 22/03/2020

Aggiornamento al 26/03/2020: con decreto legge n. 19 del 25/03/2020 (vigente dal 26/03/2020) è stata introdotta una disciplina sanzionatoria innovativa per le ipotesi di inosservanza delle disposizione di prevenzione. In particolare, l’art. 4 del predetto atto normativo prevede ora che: ” Salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma 1, ovvero dell’articolo 3, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all’articolo 3, comma 3. Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo“.

Avv. Ronny Spagnolo