Presto in vigore la nuova causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto

Il 18 marzo u.s. è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il discusso decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, che introduce nell’ordinamento la disciplina della non punibilità di determinati reati nei casi di particolare tenuità del fatto. La riforma entrerà ora in vigore il prossimo 2 aprile.

Si tratta a dire il vero di un provvedimento che non ha mancato di sollevare critiche e polemiche in ambito politico, dov’è stato tacciato da alcune forze politiche di introdurre una larvata forma di depenalizzazione di una lunga serie di reati, taluni anche di particolare allarme sociale.

Nel nostro ordinamento vige il principio di obbligatorietà dell’azione penale. Ciò significa che una volta che il pubblico ministero abbia avuto notizia della commissione di un reato, questo ha l’obbligo di perseguirlo chiedendone l’accertamento in sede processuale, senza alcun margine di discrezionalità.

Da questo punto di vista, la riforma in esame introduce per la prima volta un’attenuazione legalmente tipizzata all’obbligatorietà dell’azione penale. Ciò tuttavia non significa che il principio in questione venga meno: il Pubblico ministero continuerà infatti a non avere alcuna discrezionalità nella scelta di quali reati perseguire. E’ infatti lo stesso legislatore che, con questa riforma, mira ad indicare alle Procure in quali casi, nonostante la commissione di un reato perfetto in tutte le sue componenti, l’azione penale non debba essere esercitata.

Va tuttavia precisato come l’istituto in questione non sia del tutto nuovo al nostro ordinamento, essendo previsto un istituto analogo sia nell’ambito del diritto penale minorile che nel contesto della disciplina che regola il processo penale avanti il Giudice di pace.

Cerchiamo quindi di analizzare più da vicino la nuova normativa. Il già citato D.Lgs. 28/2015 introduce nel Codice penale il nuovo art. 131-bis che, limitatamente ai reati punibili con una pena pecuniaria oppure con quella detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, esclude la punibilità qualora, per le modalità della condotta e per lesiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità ed il comportamento risulta non abituale.

Tre sono quindi le condizioni che debbono essere soddisfatte per poter escludere la punibilità del reato: a) deve trattarsi di un reato punito con una pena pecuniaria e/o una pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni; b) il fatto deve essere di particolare tenuità ed c) il comportamento non deve essere abituale. Questi presupposti trovano peraltro ulteriore precisazione nel proseguo della norma.

Il secondo comma definisce infatti una serie di ipotesi tassative nelle quali il fatto non può mai considerarsi di particolare tenuità e va perciò perseguito senza alcuna eccezione. Si tratta in particolare dei casi nei quali il fatto è stato commesso per motivi abbietti e futili, con crudeltà, adoperando sevizie, approfittando della condizioni di minorata difesa della vittima oppure qualora dal fatto derivino la morte o le lesioni gravissime di una persona. Non si tratta però di un elenco chiuso: al di fuori di questi casi legalmente tipizzati, il giudice rimarrà infatti libero di individuare ulteriori ragioni utili per escludere la particolare tenuità del fatto.

Il terzo comma, invece, precisa in quali ipotesi il comportamento deve definirsi abituale, escludendo conseguentemente l’operatività dell’istituto. Si tratta dei casi nei quali il responsabile è già stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza da un giudice, ma anche delle ipotesi in cui lo stesso reo abbia già commesso reati della stessa indole o, addirittura, quando il singolo reato commesso abbia ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate.

Complessivamente, quindi, è prevedibile che l’istituto in parola avrà un risalto applicativo ben inferiore a quello paventato da alcune voci critiche in questi giorni. E’ infatti plausibile un ricorso piuttosto circoscritto alla causa di non punibilità in questione, che troverà applicazione in riferimento a fatti di reato assolutamente risibili e, soprattutto, episodici.

Sembrano inoltre doversi smentire i timori di una generalizzata depenalizzazione di reati di particolare allarme sociale. La riforma in questione sembra piuttosto il frutto di una pragmatica presa d’atto di due realtà inconfutabili. In primo luogo, ha poco senso investire molte risorse nella celebrazione di processi per fatti bagatellari.

In secondo luogo, una giustizia efficiente e rapida non può prescindere da una qualche forma di selezione dei reati da perseguire. Un sistema che si prefigga di perseguire ogni reato ha ottime probabilità di fallire, finendo per trascurare l’accertamento anche degli illeciti più gravi. Considerate le poche risorse a disposizione, pertanto, sembra piuttosto ragionevole cercare di concentrarle nella celebrazione dei processi aventi ad oggetto fatti di una qualche gravità tangibile, sacrificando invece quelli meno significativi.

La soluzione adottata dal legislatore, che peraltro difficilmente avrà ripercussioni eclatanti sul piano pratico, sembra perciò un buon compromesso tra l’esigenza di salvaguardare un principio di garanzia come quello della obbligatorietà dell’azione penale e l’introduzione di un qualche meccanismo di selezione dei reati da perseguire.

Avv. Ronny Spagnolo

Guida in stato di ebbrezza: nullo l’alcool test senza avvertimento

Guida in stato di ebbrezza: nullo il test alcoolimetrico se manca l’avvertimento della possibilità di farsi assistere da un legale. (Commento alla sentenza della Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 29 gennaio – 5 febbraio 2015, n. 5396)

Pochi giorni fa le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno espresso un punto fermo sulle modalità di accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza.

Com’è noto, infatti, quest’ultimo è un illecito che viene accertata dalle forze di polizia mediante il c.d. “palloncino”, ovverosia la sottoposizione del guidatore ad un test alcolimetrico volto ad accertare la concentrazione nel sangue della sostanza alcolica.

Quest’ultimo accertamento rientra nel novero degli accertamenti urgenti sulle persone che legittimano la polizia giudiziaria ad effettuare con immediatezza l’esame sul potenziale guidatore ebbro, così come previsto dall’art. 354 C.p.p. E’ infatti intuibile come qualsiasi attesa avrebbe l’effetto di rendere inutile il test, posto che l’alcool viene metabolizzato dal corpo in poche ore.

Secondo l’art. 356 C.p.p., per questa categoria di atti investigativi il difensore della persona sottoposta all’accertamento ha diritto di assistervi, senza tuttavia il diritto di essere avvisato preventivamente. Proprio per garantire che il cittadino possa effettivamente avvalersi di questa facoltà, inoltre, l’art. 114 disp. att. C.p.p. impone alle forze dell’ordine di informare il guidatore della sua facoltà di farsi assistere da un difensore durante l’esecuzione del test.

Occorre perciò chiarire quali siano le sorti dell’esame alcolimetrico, e conseguentemente del processo che ne scaturisce qualora risultino superati i limiti di concentrazione alcolica nel sangue previsti dalla legge, qualora l’avviso in questione non venga reso.

Ad onor del vero, anche in passato non si era mai dubitato che l’accertamento alcolimetrico eseguito senza avvisare della facoltà di farsi assistere dal difensore dovesse considerarsi nullo, rendendo cosi inservibile l’unica vera prova del reato posta a fondamento del procedimento penale conseguente.

Discusso era piuttosto il termine entro il quale la persona sottoposta all’accertamento poteva far valere la suddetta nullità a regime c.d. intermedio: ovverosia quella forma di invalidità che affligge ogni violazione di legge comportante, come in questo caso, un vulnus all’assistenza difensiva dell’indagato.

Secondo l’art. 182 C.p.p., infatti, quando l’interessato assiste all’atto invalido, questo tipo di nullità va eccepita prima dello stesso compimento dell’accertamento oppure, se non è possibile, immediatamente dopo.

Proprio facendo leva su questa disposizione, la giurisprudenza dominante ha a lungo negato reale valenza all’obbligo di avvisare la persona sottoposta al controllo della facoltà di farsi assistere dal difensore, giacché la sua inosservanza risultava immediatamente sanata dalla mancata tempestività dell’eccezione. D’altronde, non avendo una particolare preparazione giuridica, per la maggior parte dei guidatori risultava quasi sempre impossibile avvedersi per tempo dell’ingiustizia subita, così da farla valere tempestivamente. Il diritto all’avvertimento in questione, pertanto, rimaneva una mera petizione di principio, ma veniva del tutto frustrato nella realtà applicativa.

Da questo punto di vista, la sentenza della Corte di legittimità in commento segna un’importante punto a favore del cittadino. Secondo la Cassazione, infatti, la nullità dell’accertamento causata dal mancato avviso della facoltà di farsi assistere dal difensore non si sana affatto se non viene immediatamente eccepita dall’interessato, bensì può essere tranquillamente eccepita in seguito dal suo Avvocato, che potrà farla valere entro la pronuncia della sentenza di primo grado.

In questo modo, il diritto del cittadino ad essere avvisato circa la facoltà di essere assistito da un difensore durante l’esecuzione dell’acooltest diventa finalmente effettivo e capace, in difetto, di pregiudicare le sorti del successivo procedimento penale a carico del cittadino.

A scanso di ogni equivoco, comunque, va chiarito come il difensore abbia diritto di partecipare all’accertamento ed il cittadino il diritto di essere informato circa questa facoltà, tuttavia, la polizia giudiziaria che esegue il test non ha anche l’obbligo di attendere l’intervento del difensore qualora quest’ultimo non risulti immediatamente reperibile.

Ecco il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite: “La nullità conseguente al mancato avvertimento al conducente di un veicolo, da sottoporre all’esame alcoolimetrico, della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione dell’art. 114 disp. att. C.p.p. può essere tempestivamente dedotta, a norma del combinato disposto degli artt. 180 e 182, comma 2, secondo periodo, C.p.p., fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado”.

Avv. Ronny Spagnolo