Omicidio stradale: ecco cosa prevede il disegno di legge in discussione in Parlamento

immagine rappresentativa di un omicidio stradale
Da ormai molto tempo si lamenta l’esigenza di prevedere pene più severe – e soprattutto più effettive – per chi causa colposamente la morte di persone violando la disciplina che regola la circolazione stradale, specie quando il fatto si associa allo stato di incapacità alla guida provocato dal abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti.

Cerchiamo allora di capire qual è l’attuale normativa sull’ “omicidio stradale” e quale potrebbe essere invece in futuro, qualora il disegno di legge attualmente in discussione in Parlamento dovesse essere approvato definitivamente.

L’attuale disciplina

Attualmente l’art. 589 C.p. punisce l’omicidio colposo con la reclusione da 6 mesi a 5 anni.

Sono tuttavia previste due ipotesi aggravate di omicidio colposo commesso in ambito stradale.

Ai sensi del II° comma dell’art. 589 C.p., infatti, la pena è della reclusione da 2 a 7 anni quando l’omicidio colposo viene commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.

Un’ulteriore ipotesi aggravata è prevista dal III° comma dell’art. 589 C.p. per il caso in cui l’omicidio colposo venga commesso con violazione della normativa sulla circolazione stradale quando il responsabile si trovi in stato di incapacità alla guida, a causa dell’assunzione di sostanze stupefacenti oppure di benvande alcoliche, nei limiti in cui sia riscontrata una concentrazione di alcool nel sangue superiore a 1,5 g/l. In quest’ultima ipotesi, la pena prevista diventa quella della reclusione da 3 a 10 anni.

Un tetto massimo pari a 15 anni di reclusione è inoltre previsto qualora il fatto provochi la morte di una pluralità di persone.

Il disegno di legge attualmente in discussione

La riforma in esame prevede l’inserimento nel codice penale dell’art. 589-bis, ovverosia di una fattispecie autonoma di “omicidio stradale”, che eleva sensibilmente – più che raddoppia – i limiti minimi di pena per questi reati.

Inoltre, va segnalato come la trasformazione dell’aggravante prevista dal III° comma dell’art. 589 C.p. in un reato autonomo avrà certamente una sensibile incidenza in termini di irrigidimento del trattamento sanzionatorio: dato che gli aumenti di pena previsti dalle circostanze aggravanti possono essere elisi dal bilanciamento con altre circostanze attenuanti, mentre la stessa operazione non sarà più possibile rispetto alla nuova fattispecie di reato autonomo.

Il nuovo reato prevederà due diverse cornici edittali, rispetto ad entrambe delle quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.

Rischierà infatti la reclusione da 8 a 12 anni chiunque commetterà un omicidio colposo ponendosi alla guida di un veicolo a motore:

  • Sotto gli effetti di sostanze stupefacenti;
  • In stato di ebbrezza, con un livello di concentrazione alcolica nel sangue superiore a 1,5 g/l;
  • In stato di ebbrezza, con un livello di concentrazione alcolica nel sangue superiore a 0,8 g/l, limitatamente ai trasportatori professionali, di cose o persone, o comunque ai guidatori di mezzi pesanti.

Rischierà invece la reclusione da 7 a 10 anni chiunque commetterà un omicidio colposo ponendosi alla guida di un veicolo a motore:

  • In stato di ebbrezza, con un livello di concentrazione alcolica nel sangue superiore a 0,8 ma inferiore o uguale a 1,5 g/l;
  • In strade urbane, ad una velocità pari o superiore al doppio del limite consentito e, comunque, non inferiore ai 70 Km/h;
  • In strade extra-urbane, ad una velocità superiore ad almeno 50 Km/h al limite massimo consentito.

In entrambe le ipotesi, tuttavia, la pena sarà diminuita fino alla metà qualora il fatto non sia conseguenza esclusiva della condotta del colpevole, ovverosia nelle ipotesi in cui vi sia un concorso di colpa di altri soggetti nella causazione del sinistro.

Nei casi in cui il fatto provochi la morte di una pluralità di persone, il tetto massimo di pena passa – dagli attuali 15 – a 18 anni di reclusione.

Viene infine introdotto l’art. 589-ter C.p. che prevede un sensibile aumento di pena – da un terzo alla metà – per le ipotesi in cui il conducente si dia alla fuga dopo aver provocato l’incidente.

Rispetto a quest’ultima circostanza aggravante – nonché rispetto a quella prevista dal II° comma dell’art. 589 C.p. per le ipotesi di violazione della normativa sulla circolazione stradale – è inoltre previsto che il suo effetto aggravante non possa più essere eliso dal bilanciamento con altre circostanza attenuanti, dovendo operare queste ultime sulla pena già aggravata dalla suddetta circostanza aggravante.

Il disegno di legge discusso in Parlamento prevede infine il c.d. “ergastolo della patente”. Chi commetterà il reato in questione, infatti, subirà la revoca della patente di guida e non potrà più conseguirne una nuova prima che siano decorsi 15 anni, oppure 20 anni se il colpevole aveva già precedentemente subito condanne per guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o, infine, 30 anni qualora vi sia stata la fuga dopo il sinistro oppure quando allo stato di ebbrezza o di incapacità dovuta all’assunzione di sostanza stupefacenti si associ la violazione dei limiti di velocità.

Una disciplina di maggior rigore sulla – parziale – falsariga di quanto descritto è inoltre prevista dal disegno di legge in discussione per le ipotesi di “lesioni personali stradali”, previste dal nuovo art. 590-bis C.p.

Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.

Normativa stupefacenti: uso di gruppo e coltivazione di Marijuana ad uso personale

L’intera disciplina che in Italia punisce le condotte attinenti al traffico di sostanze stupefacenti è principalmente condensata in tre soli articoli del DPR 309/1990 ed, in particolare, negli artt. 73, 74 e 75 di quest’ultimo apparato normativo, così come risultanti dopo innumerevoli modifiche.

 

La normativa sugli stupefacenti

L’art. 73 definisce le condotte penalmente rilevanti attinenti al traffico ed allo spaccio di stupefacenti, l’art. 74 è dedicato alle condotte più gravi di associazione a delinquere finalizzata a commettere i delitti di cui al primo articolo ed, infine, l’art. 75 sanziona sul piano meramente amministrativo le condotte strumentali al consumo personale di stupefacenti, che non sono penalmente illecite.

In seguito all’esito del referendum abrogativo del 1993, infatti, l’ordinamento italiano ha improntato la disciplina sugli stupefacenti al principio per cui la repressione penale – peraltro caratterizzata da pene molto rigide – debba essere riservata alle condotte che contribuiscono al commercio e perciò anche al mercato degli stupefacenti. Al contrario, deve escludersi l’illiceità penale dell’uso personale di droghe – e pertanto anche di tutte quelle condotte che sono strumentali a quest’ultimo, come l’acquisto e la detenzione – rispetto al quale l’ordinamento limita la propria reazione sul piano meramente amministrativo.

In particolare, la fattispecie di cui all’art. 73 punisce le condotte di traffico e spaccio. Secondo quest’ultimo, è punito chiunque, non essendo autorizzato, “coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede o riceve, a qualsiasi titolo, distribuisce, commercia, acquista, trasporta, esporta o importa, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecitamente detiene sostanze stupefacenti o psicotrope”.

Il trattamento sanzionatorio, in seguito alla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, è invece tornato ad essere differenziato a seconda che la condotta abbia ad oggetto droghe “pesanti” (come per l’esempio la cocaina o l’eroina), oppure “leggere” (come la marijuana).

Per le droghe “pesanti”, infatti, la pena prevista è quella della reclusione da 8 a 20 anni e della multa da 25.822 a 258.228 euro.

Per le droghe “leggere”, invece, la pena prevista è quella della reclusione da 2 a 6 anni e della multa da 5.164 a 77.468 euro.

Questi limiti di pena particolarmente rigorosi sono tuttavia mitigati dal meccanismo previsto dal comma V° dell’art. 73, in forza del quale, “se il fatto commesso, per i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la quantità o la qualità delle sostanze, è di lieve entità“, è punito “soltanto” con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e la multa da 1.032 a 10.329 euro. Sensibili sconti di pena sono peraltro previsti anche per chi collabora con l’Autorità giudiziaria per le indagini.

Come già anticipato all’inizio, tuttavia, il legislatore ha scelto di non ritenere penalmente rilevanti quelle condotte che hanno ad oggetto sostanze stupefacenti, ma sono volte esclusivamente al consumo personale. L’art. 75 della normativa stupefacenti, perciò, esclude la responsabilità penale ed assoggetta a mere sanzioni amministrative (sospensione della patente di guida, della licenza di porto d’armi, del passaporto o del permesso di soggiorno) “chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope“.

Il consumo di gruppo

Rispetto alla disciplina poc’anzi descritta, piuttosto problematica si è rivelata la concreta applicazione alle ipotesi di consumo di gruppo. E infatti piuttosto frequente che tra gli assuntori di stupefacenti – ed in particolare di marijuana – ci si organizzi per acquistare congiuntamente un certo quantitativo di droga  e quindi per consumarlo insieme. Ci si è perciò chiesti se questa tipologia di condotte andasse ricondotta ad una forma di spaccio, e quindi anche al grave reato di cui all’art. 73, oppure ad una fattispecie alternativa di consumo personale, trattandosi perciò di un mero illecito amministrativo di cui all’art. 75.

Particolarmente problematico risultava peraltro l’inquadramento delle ipotesi in cui il gruppo di consumatori, anziché acquistare congiuntamente la sostanza stupefacente, conferisse mandato ad uno del gruppo per effettuare l’acquisto di quest’ultima, da consumare successivamente insieme. In quest’ultima ipotesi, infatti, si realizza un doppio passaggio della sostanza, dallo spacciatore al mandatario, prima, e dal mandatario al gruppo, successivamente, così da far insorgere dubbi circa la possibilità di ravvisare in questi casi una forma di spaccio penalmente rilevante.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, tuttavia, hanno recentemente ribadito come queste ipotesi di consumo di gruppo di sostanze stupefacenti non rappresentino un’ipotesi di spaccio penalmente rilevante, bensì vadano correttamente ricondotte ad ipotesi di uso personale rilevanti soltanto sul piano soltanto amministrativo, sia nei casi di acquisto comune che di mandato all’acquisito collettivo ad uno degli assuntori.

In quest’ultimo caso, tuttavia, sarà necessario verificare che l’acquirente sia uno degli assuntori, che l’acquisto avvenga fin dall’inizio per conto del gruppo e che sia certa fin dall’origine l’identità dei componenti del gruppo, che debbono contribuire economicamente all’acquisto. Al di fuori di queste condizioni, pertanto, avremo una forma di spaccio penalmente rilevante ex art. 73.

La coltivazione ad uso personale

La fattispecie che a tutt’oggi risulta più problematica, tuttavia, è quella della coltivazione di piante da cui derivino le sostanze stupefacenti finalizzata al consumo personale.

Non sono infatti rari i casi in cui, soprattutto per quel che concerne la marijuana, il consumatore cerca di evitare di rifornirsi dal mercato illegale degli stupefacenti, spesso controllato dalla criminalità organizzata, per prodursi autonomamente la sostanza da consumare.

Il problema è dovuto al fatto che la condotta di “coltivazione” è prevista come reato dall’art. 73 e non è invece riprodotta dall’art. 75 nel novero di quelle condotte che, nei limiti in cui siano finalizzate al consumo personale, sono penalmente irrilevanti e sanzionate soltanto a livello amministrativo.

Ciò ha indotto la giurisprudenza di legittimità, dopo alcune aperture iniziali, ad assumere un atteggiamento particolarmente rigoroso, ritenendo che ogni forma di coltivazione di piante in grado di fornire sostanze idonee a produrre un effetto stupefacente sull’uomo debba considerarsi reato, a nulla rilevando il fatto che si tratti di condotte strumentali all’uso personale, che è penalmente lecito. Quello previsto dall’art. 73 della normativa stupefacenti sarebbe infatti un’ipotesi di reato di pericolo astratto, in cui il legislatore preferisce punire “a prescindere” la coltivazione di sostanza stupefacenti per il rischio che possano diffondersi ulteriormente.

Tale posizione è stata tuttavia fortemente criticata, in quanto ritenuta irragionevole. Se infatti il consumo di stupefacenti non costituisce reato, che senso ha ritenere lecito l’acquisto della sostanza dal mercato illegale – che alimento in tal modo la criminalità organizzata – e non invece la coltivazione “in proprio”, che invece non alimenta questo mercato?

Da questo punto di vista, va tuttavia segnalato un recente arresto della Corte di Cassazione che sembra rappresentare una prima apertura in questo senso. La Corte veniva chiamata a stabilire se la coltivazione domestica di due sole piantine di marijuana destinate al proprio consumo personale costituisse reato. In questo caso, la Cassazione ha escluso che tale fatto potesse costituire reato ex art. 73 dato, in quanto giudicato inoffensivo, dato che il quantitativo irrisorio di sostanza stupefacente che quelle due piante sarebbero state in grado di produrre non era idoneo ad aumentare significativamente la disponibilità di droga e non era quindi prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza.

Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.