L’avvocato ed il segreto professionale

Puoi fidarti? Puoi confidare all’Avvocato quanto a tua conoscenza senza rischiare di essere perseguito penalmente oppure di veder trapelare informazioni negative e/o riservate sul tuo conto? Il professionista è tenuto al segreto professionale?

Ovviamente si. L’Avvocato è rigorosamente tenuto al segreto professionale su tutto quello che gli riferisci, anche dopo il termine del rapporto professionale ed a prescindere dalle vicende che lo riguardano.

Il rapporto cliente-avvocato è un rapporto ineluttabilmente fondato sulla fiducia: il tuo Avvocato non può fare pienamente il tuo interesse se non ti fidi completamente di lui e non lo metti al corrente di tutte le informazioni rilevanti sul problema per il quale chiedi assistenza legale.

Se non ti fidi completamente del tuo difensore, forse è giunta l’ora di cambiarlo, nell’interesse di entrambe le parti.

L’Avvocato è tenuto al segreto professionale sia dal punto deontologico, che da quello civile e penale.

Ecco la normativa rilevante in tema di segreto professionale:

Codice deontologico forense

Art. 13 – Dovere di segretezza e riservatezza. L’avvocato è tenuto, nell’interesse del cliente e della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo su fatti e circostanze in qualsiasi modo apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale e comunque per ragioni professionali.

Art. 28 – Riserbo e segreto professionale. 1. È dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto e il massimo riserbo sull’attività prestata e su tutte le informazioni che gli siano fornite dal cliente e dalla parte assistita, nonché su quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato. 2. L’obbligo del segreto va osservato anche quando il mandato sia stato adempiuto, comunque concluso, rinunciato o non accettato. 3. L’avvocato deve adoperarsi affinché il rispetto del segreto professionale e del massimo riserbo sia osservato anche da dipendenti, praticanti, consulenti e collaboratori, anche occasionali, in relazione a fatti e circostanze apprese nella loro qualità o per effetto dell’attività svolta. 4. È consentito all’avvocato derogare ai doveri di cui sopra qualora la divulgazione di quanto appreso sia necessaria: a) per lo svolgimento dell’attività di difesa; b) per impedire la commissione di un reato di particolare gravità; c) per allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e cliente o parte assistita; d) nell’ambito di una procedura disciplinare. In ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato. 5. La violazione dei doveri di cui ai commi precedenti comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura e, nei casi in cui la violazione attenga al segreto professionale, l’applicazione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.

Codice penale

Art. 622 – Rivelazione di segreto professionale. Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

Codice di procedura penale

Art. 200 – Segreto professionale. Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria [331, 334]: …
b) gli avvocati

Avv. R. Spagnolo

A quale età si può validamente esprimere il consenso ad un rapporto sessuale?

Età del consenso al rapporto sessuale. A quale età anagrafica l’ordinamento considera la persona abbastanza matura da consentirle di prestare validamente il consenso ad un rapporto sessuale, evitando così al partner di incorrere in una responsabilità penale?

A questa domanda i diversi paesi del mondo danno risposte diverse, come può chiaramente evincersi dalla mappa sopra riportata, in conformità a quelli che sono gli usi e costumi locali.

Quanto all’Italia, la risposta è articolata, ma prima di approfondire l’argomento è necessario fare una premessa.

Quando si parla di età del consenso  si fa implicitamente riferimento al rapporto sessuale liberamente voluto dal minorenne e non invece al rapporto in qualsiasi modo costretto o estorto.

Infatti, del tutto a prescindere dall’età della vittima, l’art. 609-bis C.p. (Violenza sessuale) punisce con la reclusione da cinque a dieci anni chiunque costringa taluno a compiere o subire atti sessuali: a) con violenza o minaccia; b) mediante abuso di autorità; c) abusando delle condizioni di inferiorità psico-fisica della vittima; d) traendo in inganno la persona offesa, sostituendosi ad altra persona.

Ciò premesso, torniamo alla questione iniziale, ovverosia a quale età un minorenne può validamente acconsentire ad un rapporto sessuale, escludendo così ogni responsabilità penale per il partner.

Ebbene, in Italia la soglia del consenso è fissata dall’art. 609-quater C.p. nell’età di quattordici anni. Il rapporto sessuale – liberamente voluto – con chi abbia compiuto i quattordici anni è considerato pienamente legittimo. Al contrario, qualsiasi atto sessuale compiuto con l’infraquattordicenne comporta – del tutto a prescindere dal fatto che il minore vi abbia acconsentito – la commissione del grave delitto di “Atti sessuali con minorenne“, punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Ciò naturalmente vale anche se il partner è anch’esso minorenne, ma comunque già penalmente responsabile perché ultraquattordicenne.

Se questa è la regola generale, sono tuttavia previste anche delle eccezioni, sia verso il basso che verso l’alto.

In primo luogo, va infatti precisato come, eccezionalmente, non sia punibile il rapporto sessuale – liberamente accettato – compiuto col tredicenne, se la differenza di età tra i due partner non è superiore a tre anni. Nessuna eccezione è invece prevista per gli infratredicenni, anche si si tratta di rapporti avuti con partner di poco più grandi.

In secondo luogo, la soglia dei quattordici anni si eleva fino a sedici anni tutte le volte in cui l’altro partner sia: l’ascendente, il genitore – anche se adottivo – o il di lui convivente, il tutore o un altra persona che, per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia abbia il minore in affidamento o ne sia convivente. Rispetto a queste specifiche persone, il minorenne può validamente acconsentire al rapporto sessuale solo al compimento del sedicesimo anno di età, altrimenti il partner ne risponde penalmente.

Inoltre, sempre limitatamente alle specifiche persone poc’anzi indicate, è prevista una pena ridotta – dai tre ai sei anni di reclusione – qualora il rapporto sessuale – non costretto – avvenga con persona che abbia già compiuto i sedici anni (ma non i diciotto) e nei limiti in cui vi sia stato abuso dei poteri riconnessi alla loro posizione. In questi casi la soglia si innalza quindi ulteriormente a diciotto anni, facendo residuare altrimenti una responsabilità.

Tutto ciò premesso, un’ultima precisazione si impone. Le soglie d’età sopra definite diventano del tutto irrilevanti qualora il rapporto sessuale col minorenne, benché voluto da quest’ultimo, sia stato in qualsiasi modo retribuito. Commette infatti il grave delitto di “Prostituzione minorile” chiunque sfrutti o favorisca la prostituzione di persone di età inferiore agli anni diciotto (art. 600-bis C.p.).

Solo a partire dalla maggiore età, pertanto, la persona può validamente acconsentire (evitando così responsabilità per l’altro partner) ad un rapporto sessuale a pagamento.

Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.