La legittima difesa: un istituto spesso discusso, ma forse poco conosciuto

I recenti fatti di cronaca che hanno coinvolto l’ormai noto Graziano Stacchio, il benzinaio vicentino che nel febbraio scorso ha sventato una rapina uccidendo uno degli aggressori, hanno riaperto l’ormai costante dibattito sulla legittima difesa e sui suoi limiti che, secondo una diffusa opinione, sarebbero troppo restrittivi e tali da impedire al cittadino di difendersi adeguatamente dal crimine.

Ma cos’è la legittima difesa? Quanti sanno esattamente di cosa si tratta ed in che limiti è consentita? Vediamo di fare un po’ di chiarezza.

Cos’è legittima difesa, innanzitutto.

La legittima difesa rappresenta il classico esempio di quelle che, nella scienza giuridica penale, vengono definite cause di giustificazione. Si tratta di particolari circostanze in presenza delle quali un fatto, che risulterebbe altrimenti penalmente illecito, è invece considerato lecito e perciò non punibile. Ad esempio, chi uccide per difendersi commette il delitto di omicidio ma, nei limiti in cui vi siano i presupposti della legittima difesa, lo stesso fatto è ritenuto lecito.

Quali sono i limiti entro i quali viene riconosciuta le legittima difesa in Italia?

Va innanzitutto premesso che la legittima difesa può essere validamente esperita per proteggere qualsiasi diritto, personale o patrimoniale, e che la stessa può essere validamente esperita anche per difendere beni altrui.

Per quel che concerne l’aggressione dalla quale ci si difende, quest’ultima deve rappresentare un pericolo attuale di subire un’offesa ingiusta. La reazione difensiva, invece, deve risultare necessaria e non sproporzionata rispetto all’aggressione minacciata. Questi sono i paletti all’interno dei quali opera legittima difesa.

Quanto all’attualità del pericolo, deve trattarsi di un pericolo ormai imminente di aggressione al proprio diritto, tale da non consentire di ricorrere efficacemente alle forze di polizia. Inoltre, il pericolo attuale dovrà avere ad oggetto un’offesa ingiusta. Ciò significa che lo stesso aggressore non potrà invocare a sua volta la legittima difesa contro chi si difende, così come chi ha commesso un delitto non potrà invocare la legittima difesa contro la polizia che lo arresta.

Per quel che concerne le modalità della reazione difensiva, questa dovrà innanzitutto risultare necessaria per difendere il diritto aggredito. Il cittadino minacciato di aggressione che possa agevolmente evitare l’offesa scappando, non potrà invocare la legittima difesa: se sceglie di affrontare l’aggressore, nonostante non fosse necessario, se ne assumerà la responsabilità.

Infine, va esaminato il requisito forse più controverso della legittima difesa, quello della proporzione. Affinché la reazione difensiva sia coperta dalla legittima difesa, infatti, è necessario che non sia sproporzionata rispetto all’aggressione. Il cittadino che riceve uno schiaffo, pertanto, non potrà rispondere accoltellando l’aggressore, così come il proprietario di un auto non potrà attentare alla vita del ladro che la sta rubando.

Per cogliere le ragioni che hanno indotto il legislatore a subordinare il riconoscimento della legittima difesa al requisito della proporzionalità (o meglio, della non sproporzione) tra l’aggressione e la difesa, occorre fare qualche passo indietro. Il vecchio Codice penale italiano, il “Codice Zanardelli” vigente nel periodo che va dal 1889 al 1931, ammetteva la legittima difesa unicamente per difendere l’incolumità fisica della persona e non anche per tutelare beni di natura patrimoniale. Con l’introduzione dell’attuale Codice, il “Codice Rocco” vigente dal 1931 e tutt’ora in vigore, il legislatore scelse di estendere la legittima difesa a tutela di qualsiasi bene giuridico, sia di natura personale che meramente patrimoniale. Tale scelta comportava tuttavia un evidente rischio: quello di legittimare forme di difesa del tutto sproporzionate e, perciò, forme di giustizia privata e sommaria. In particolare, la ben che minima aggressione al patrimonio finiva per legittimare e fornire un valido pretesto per reazioni violente, che avrebbero potuto spingersi fino agli esiti più tragici, quali omicidi e gravi lesioni personali. Proprio per impedire ciò, il legislatore decise di introdurre il limite rappresentato dalla necessaria proporzionalità tra la difesa e l’offesa.

L’ordinamento, quando non è in grado di apprestare le opportune difese pubbliche, accorda preferenza al bene giuridico dell’aggredito, piuttosto che a quello dell’aggressore, ma non senza limiti. Tra i due beni in gioco, deve conservarsi un ragionevole equilibrio.

La legittima difesa domiciliare, un falso punto di svolta

Proprio in ragione delle frequenti critiche che coinvolgono il requisito della proporzione come elemento costitutivo della legittima difesa, nel 2006 il legislatore ha riformato l’istituto, contemplando la c.d. legittima difesa domiciliare. In sintesi, si è stabilito che quando l’aggressione avviene con violazione di domicilio, all’interno delle mura domestiche o dei luoghi di lavoro, a date condizioni il requisito della proporzione deve essere presunto. Quest’effetto, tuttavia, rimane subordinato alla sussistenza di una minaccia d’aggressione all’incolumità fisica della vittima, non essendo invece sufficiente una minaccia per la proprietà.

Infine, meritano di essere affrontati due istituti contigui alla legittima difesa, ma non coincidenti con essa.

La legittima difesa putativa e l’eccesso colposo: due istituti complementari alla legittima difesa

Viene innanzitutto in rilievo la legittima difesa putativa, che si ha quando il cittadino reagisce contro l’apparente aggressore errando sui presupposti della legittima difesa stessa. Si faccia l’esempio del rapinatore che minacci il negoziante con un’arma che, a posteriori, risulti essere una pistola giocattolo del tutto inoffensiva. In questi casi, chi reagisce nell’erronea convinzione di doversi difendere da un pericolo di aggressione in realtà inesistente, pur non potendo godere della legittima difesa per difetto di uno dei suoi requisiti (pericolo attuale di un offesa ingiusta), non sarà punibile a titolo di dolo. Così, se il suddetto negoziante uccide l’aggressore, non sarà mai chiamato a rispondere di omicidio volontario. Potrà tuttavia essere chiamato a rispondere dell’equivalente reato colposo, nei limiti in cui, usando la necessaria attenzione, fosse possibile rendersi conto che l’aggressione era in realtà insussistente o comunque non tale da giustificare una reazione di quel tipo.

Infine, viene in rilievo l’istituto dell’eccesso colposo, che si ha quando vi sono tutti i requisiti per invocare la legittima difesa ma, per un errore colposo di esecuzione della reazione difensiva, quest’ultima si esplichi con modalità sproporzionate rispetto alla minacciata aggressione. Si pensi esemplificativamente al cittadino che, per difendersi da un’aggressore che lo minaccia a mani nude, miri con la propria arma da fuoco per colpirlo alle gambe ma che, inciampando, per errore alzi il tiro e lo uccida. In queste circostanze, il cittadino non risponderà di omicidio volontario, bensì esclusivamente di omicidio colposo, nei limiti in cui l’errore di esecuzione non fosse inevitabile. Merita in proposito sottolineare come invece l’eccesso volontario risulti pienamente punibile a titolo di dolo, salvo potersi eventualmente applicare l’attenuante della provocazione.

Concludendo, pertanto, può dirsi che la legittima difesa è consentita dall’ordinamento nei soli limiti in cui sia strettamente necessaria per difendere il proprio buon diritto, mentre in nessun modo sono legittimate forme di vendetta privata: il cittadino non può farsi giustizia da sé e non può sostituirsi allo Stato nella repressione del crimine.

Avv. Ronny Spagnolo, Ph.D.