Acquisto di merce contraffatta: quali conseguenze si rischiano?

Quello della merce contraffatta – sopratutto a danno delle griffe di abbigliamento e accessori più note – è un mercato indubbiamente florido in Italia. Basta passeggiare per le vie di qualsiasi centro turistico per imbattersi in una miriade di venditori ambulanti di borse, occhiali e vestiti che riproducono – talvolta con risultati davvero ottimali – le effigi delle più note case di moda, ovviamente proponendoli a prezzi ben diversi rispetto agli originali. Ma cosa si rischia ad acquistare uno quei prodotti? Quali conseguenze può determinare l’acquisto di merce contraffatta?

Per rispondere a questa domanda, è utile ripercorrere brevemente quella che è stata in materia l’evoluzione giurisprudenziale e normativa degli ultimi anni.

Partiamo innanzitutto da qualche dato normativo. Ai sensi dell’art. 473 C.p. è punito con la reclusione dai 6 mesi ai 3 anni e la multa da 2.500 a 25.000 euro chiunque contraffà o altera marchi o segni distintivi di prodotti industriali. Ai sensi dell’art. 474 C.p., invece, è punito con la reclusione da 1 a 4 anni e la multa da 3.500 a 35.000 euro chiunque importa, detiene per la vendita, vende o pone altrimenti in circolazione prodotti industriali con marchi e/o segni distintivi contraffatti.

Tutto ciò ha indotto la giurisprudenza più risalente a ritenere che chiunque acquisiti tali prodotti contraffatti commetta il grave delitto di ricettazione. Ai sensi dell’art. 648 C.p. invero, è punito con la reclusione da 2 a 8 anni e la multa da 516 a 10.329 euro chiunque, al fine di procurarsi un profitto, acquista o riceve cose provenienti da un qualsiasi delitto. La stessa pena è tuttavia limitata alla reclusione fino a 6 anni e alla multa sino a 516 euro qualora il fatto sia di particolare tenuità.

Una volta chiarita la natura penalmente illecita dell’attività di contraffazione ai sensi del succitato art. 473 C.p., invero, diventava automatico ritenere che colui che acquistasse consapevolmente quella merce contraffatta dovesse rispondere del grave delitto di ricettazione, eventualmente anche in concorso con il delitto di cui all’art. 474 C.p. allorquando l’acquisto fosse finalizzato alla rivendita (v. Cassazione, SS.UU. n. 23427 del 9 gennaio 2001).

In proposito, peraltro, la giurisprudenza aveva già da tempo precisato come il dolo specifico della ricettazione (“al fine di procurarsi un profitto”) sussistesse anche in capo a colui che dall’acquisto ottenesse un mero vantaggio personale, come quello di “sfoggiare” un capo di marca acquistato ad un prezzo nettamente inferiore (v. Cass., sez. II, n. 11083 del 12 ottobre 2000).

Orbene, proprio per evitare conseguenze penali tanto gravi in capo al semplice acquirente della merce contraffatta, nel 2005 interveniva il legislatore. In particolare, l’art. 1, co. 7, del D.L. 35/2005, successivamente convertito con modificazioni dalla L. 80/2005, introduceva la sanzione amministrativa da 100 a 7.000 euro per l’acquirente finale che acquistasse a qualsiasi titolo cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti o di proprietà industriale. La medesima disposizione prevedeva inoltre la confisca amministrativa della merce contraffatta e, salvo che il fatto costituisca più grave reato, la sanzione amministrativa da da 20.000 a 1 milione di euro qualora lo stesso acquisto sia realizzato da un operatore commerciale o comunque un soggetto diverso dall’acquirente finale.

Si rendeva a quel punto necessario chiarire quando ricorresse una responsabilità penale e quando semplicemente quella amministrativa, dato che lo stesso comportamento risultava a quel punto astrattamente punito da norme diverse.

Intervenivano quindi le SS. UU. della Cassazione che, con la sentenza n. 22225 dell’8 giugno 2012, enunciavano il seguente principio: “L’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata risponde dell’illecito amministrativo previsto dal D.L. 35/2005 e convertito con L. 80/2005 (così come modificato dalla L. 99/2009) [da 100 a 7.000 euro di sanzione amministrativa] e non di ricettazione ex art. 648 C.p”. Questo perché l’illecito amministrativo si poneva ormai in termini di specialità rispetto alla generica previsione penale e pertanto non poteva che prevalere, escludendo la rilevanza penale del fatto.

Più recentemente, con la sentenza n. 3000 del 22 gennaio 2016, la Cassazione ha avuto modo di ribadire ulteriormente quanto già affermato dalle Sezioni Unite del 2012, chiarendo come “la nozione di acquirente finale di merce contraffatta – che consente di escludere la punibilità ex art. 648 C.p. [ricettazione] – va intesa in senso restrittivo, nel senso che può essere considerato tale solo ed esclusivamente colui che acquisti il bene contraffatto per uso strettamente personale, e, quindi, resti estraneo non solo al processo produttivo ma anche a quello diffusivo  del prodotto contraffatto: di conseguenza risponde del delitto di ricettazione chi, acquistando un bene contraffatto, contribuisca alla ulteriore distribuzione e diffusione di esso in quanto non lo destina a sé, ma ad altri, essendo irrilevante se l’ulteriore distribuzione avvenga a titolo oneroso o gratuito“.

L’introduzione dell’illecito amministrativo nel 2005, pertanto, non ha del tutto escluso il ricorso del delitto di ricettazione in relazione all’acquirente della merce contraffatta. Qualora si accertasse che l’acquisto del bene contraffatto è volto alla cessione a terzi, si pensi per ipotesi anche alla mera regalia in favore di parenti o amici, rimane inalterata la possibilità di rispondere del grave delitto di ricettazione.

Avv. R. Spagnolo