La calunnia al terzo e giustificata se risulta indispensabile all’esercizio del diritto di difesa

Calunnia e diritto di difesa: secondo la sentenza n. 6598/2022 della Corte di Cassazione, un imputato che accusa falsamente persone innocenti non può essere condannato per calunnia se tale accusa è l’unico mezzo essenziale per difendersi da un’accusa rivoltagli.

Ai sensi dell’art. 368 del codice penale viene punito per il delitto di calunnia chiunque si rivolga all’Autorità giudiziaria incolpando di un reato taluno che egli sa innocente.

Il caso trattato riguarda un imputato accusato di calunnia per aver falsamente attribuito a un’altra persona la firma su un contratto di noleggio di un’auto. La Corte d’appello aveva assolto l’imputato basandosi sull’art. 51 del codice penale, che consente l’esercizio del diritto di difesa come causa di giustificazione per la falsa accusa.

La parte civile ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che l’imputato avrebbe potuto difendersi affermando di non sapere chi avesse falsificato la firma sul contratto, senza accusare un’altra persona. Tuttavia, il Procuratore generale ha argomentato che accusare falsamente altri, se ciò è strettamente necessario per confutare l’accusa rivolta all’imputato stesso, rientra nei limiti del diritto di difesa.

Calunnia e diritto di difesa. La sentenza della Cassazione ha confermato l’interpretazione dell’art. 51 c.p., sottolineando che l’accusa falsa è giustificabile solo se è strettamente essenziale per confutare l’accusa rivolta all’imputato e non può essere superflua o inventata. La Corte ha sottolineato che la falsa accusa deve essere l’unico mezzo di difesa disponibile e non può avere alternative ragionevoli per negare l’accusa.

Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che l’imputato non aveva altra opzione difensiva se non accusare la persona della firma falsificata per esercitare il suo diritto di dichiararsi innocente dall’accusa di falsificazione della firma su un contratto.

In quali casi si può essere arrestati e come ci si può difendere?

In quali casi si può essere arrestati?

In quali casi si può essere arrestati? L’arresto consiste nella privazione della libertà di una persona posto in essere dalla pubblica autorità nei casi previsti dalla legge. Concretamente, la privazione della libertà viene eseguita presso una Casa circondariale o di detenzione.

Ai sensi dell’art. 13 della Costituzione, “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, …, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.

Volendo approfondire la questione – anche nella prospettiva di individuare le forme nelle quali la persona arrestata può esporre le proprie difese nel tentativo di riguadagnare al più presto la libertà perduta – occorre tuttavia distinguere tre diverse ipotesi di privazione della libertà: 1) le misure precautelari; 2) le misure cautelari; 3) l’esecuzione di una sentenza di condanna definitiva.

Cerchiamo allora di comprendere in quali casi ricorrano queste ipotesi di privazione della libertà e quali siano gli strumenti difensivi.

In quali casi si può essere arrestati?

Le misure precautelari

Le misure precautelari previste dall’ordinamento sono sostanzialmente due: il fermo di indiziato di delitto e l’arresto in flagranza di reato. Si tratta di misure provvisorie di privazione della libertà caratterizzate dal fatto di poter essere applicate direttamente dal Pubblico ministero, o addirittura d’iniziativa dalla polizia giudiziaria, senza la necessità di attendere un provvedimento cautelare da parte di un Giudice. In queste ipotesi il controllo giurisdizionale viene quindi posticipato ad una fase successiva all’arresto.

Ai sensi dell’art. 380 c.p. la polizia giudiziaria procede all’arresto di chiunque è colto in flagranza di un grave delitto. È in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima

Ai sensi dell’art. 384 c.p.p., invece, il pubblico ministero – o, nei casi di urgenza, direttamente la polizia giudiziaria – dispone il fermo di persona gravemente indiziata di gravi reati quando sussistono specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga.

Le misure precautelari possono protrarsi per un massimo di 96 ore: posto che una volta applicate il pubblico ministero deve chiederne la convalida al giudice entro 48 ore mentre, entro le 48 successive, il giudice deve fissare l’udienza di convalida. Se questi termini non vengono rispettati la persona privata della libertà va immediatamente rilasciata.

In sede di udienza di convalida il Giudice dovrà verificare se l’arresto o il fermo sia avvenuto nei casi previsti dalla legge, convalidandoli oppure no, e quindi provvedere sulle eventuali richieste di misure cautelari – in grado di protrarre oltre lo stato di arresto – avanzate dal pubblico ministero.

In questi casi è quindi l’udienza di convalida la prima occasione nella quale l’indagato, assistito dal proprio difensore, potrà difendersi esponendo le proprie ragioni, sia nella prospettiva di mettere in discussione della convalida della misura precautelare, sia in quella di contrastare eventuali richieste di misura cautelare.

Le misure cautelari

Le misure cautelari sono provvedimenti provvisori e immediatamente esecutivi, disposti dall’autorità giudiziaria, di solito “a sorpresa”, ogniqualvolta ravvisi il pericolo, che durante le indagini preliminari o nel corso del processo, possano verificarsi eventi capaci di compromettere la funzione giurisdizionale.

Le misure cautelari più gravi, quelle che privano interamente la persona della sua libertà personale, sono sostanzialmente due: gli arresti domiciliari e la custodia in carcere.

Le misure cautelari sono disposte dal Giudice su richiesta del pubblico ministero qualora ricorra almeno una delle seguenti esigenze cautelari: 1) pericolo di inquinamento delle prove; 2) pericolo di fuga dell’indagato; 3) pericolo di reiterazione del reato.

La durata massima delle misure cautelari è definita dalla legge.

Come già detto, le misure cautelari vengono generalmente applicate “a sorpresa”, senza quindi sentire preventivamente il destinatario della misura. Tuttavia l’integrazione del contraddittorio con quest’ultimo è soltanto posticipata.

Entro 5 giorni dall’applicazione della misura, infatti, il Giudice che l’ha applicata ha l’obbligo di fissare l’interrogatorio di garanzia.

In questa sede l’indagato, assistito dal proprio difensore, potrà finalmente esporre le proprie difese mettendo in discussione la sussistenza dei presupposti applicativi della misura, chiedendone la revoca. Il giudice, una volta sentito l’interessato, potrà quindi confermare la misura, modificarla con una meno gravosa oppure revocarla.

L’esecuzione di una sentenza definitiva

L’esecuzione di una pena detentiva in forza di una sentenza divenuta irrevocabile, consegue alla celebrazione di un intero processo, eventualmente sviluppatosi nei tre gradi di giudizio, e presuppone pertanto che il condannato abbia già avuto ampiamente modo di difendersi ed esporre le proprie difese.

Ciò tuttavia non significa che non residuino margini di difesa.

Innanzitutto, per mezzo del proprio difensore si potrà ricorrere al Giudice dell’esecuzione per far valere eventuali difetti del titolo esecutivo e/o vicende sopravvenute che potrebbero metterne in discussione la validità. In particolare, il Giudice dell’esecuzione può dichiarare la prescrizione della pena, applicare amnistie/indulti, verificare eventuali errori di persona, applicare la disciplina della continuazione, accertare eventuali duplicazioni di condanne, revocare la sentenza in caso di sopravvenuta abolizione del reato ecc.

In secondo luogo, si potrà adire la competente magistratura di sorveglianza al fine di chiedere, qualora ne ricorrano i presupposti, di scontare la pena con misure alternative al carcere, quali: l’affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare e la semilibertà.

Infine, qualora emergano nuovi elementi tali da mettere in discussione la sentenza di condanna, si potrà ricorrere alla Corte d’appello competente per chiedere la revisione processuale.

Da ultimo, chiunque abbia sofferto un’ingiusta privazione della propria libertà personale potrà chiedere un indennizzo dallo Stato: la riparazione per ingiusta detenzione.